mercoledì 27 febbraio 2013

Morsi firma la Carta, i sì prevalgono del 64%


MEDIO ORIENTE
Fine anno • Sulla pelle dei Territori occupati si giocano le elezioni israeliane a colpi di colonie. In Siria quotidiane stragi, vere e di propaganda. In Egitto, dopo la Costituzione, cambia anche il governo?

Egitto/ ELEZIONI PARLAMENTARI ENTRO 60 GIORNI
Morsi firma la Carta, i sì prevalgono del 64%
Affluenza al 32%. Voci di rimpasto di governo. I giudici sono stati i veri oppositori


Giuseppe Acconcia
Morsi ha firmato la nuova Costituzione. In un discorso televisivo ha individuato in riforme economiche e incentivi agli investitori le priorità del suo mandato. Non solo, tra gli islamisti si fanno insistenti le voci di un possibile rimpasto di governo dopo le defezioni del vice presidente Mahmoud Mekki e dei consiglieri di Morsi. In questo senso circolano le voci di un possibile avvicendamento tra il primo ministro, Hesham Qandil, e l’ideologo dei Fratelli musulmani, Khairat al-Shater. Ieri la Camera alta (Shura) ha acquisito pieni poteri legislativi fino alle nuove elezioni parlamentari che dovranno tenersi entro 60 giorni. Contemporaneamente è stata approvata una legge che impedisce a chi lascia il paese di portare con sé oltre 7,5 mila euro, in seguito alla fuga di capitali all’estero delle ultime settimane.
Tuttavia, il risultato del referendum è ancora contestato dalle opposizioni. Dal suo esilio dorato negli Emirati, l’ultimo primo ministro di Mubarak, Ahmed Shafiq, ha definito l’intero procedimento elettorale come «falso». I punti più controversi di questo voto riguardano la bassa affluenza alle urne e il risicato scarto tra sostenitori e oppositori della Costituzione. Nonostante il ruolo essenziale della Carta fondamentale non era previsto un quorum. Tuttavia un’affluenza ferma al 32% va contro le peggiori aspettative. Si tratta della percentuale di votanti più bassa nelle ultime cinque tornate elettorali. Si è tornati in qualche modo alla bassa partecipazione del dicembre 2010 in occasione delle ultime elezioni parlamentari dell’era Mubarak. I «sì» hanno prevalso con il 64%, si tratta di una buona affermazione ma di sicuro meno significativa del plebiscito ottenuto dagli islamisti alle recenti elezioni presidenziali e ancora di più alle parlamentari di un anno fa. Il dato definitivo dimostra ancora un volta che i sostenitori della Fratellanza si concentrano nelle campagne e nelle aree più povere del paese, nella classe media e tra i poveri. Hanno bocciato la Costituzione invece le classi medie urbane e la piccola borghesia.
I principali nodi di questo testo riguardano prima di tutto l’ambigua estensione dell’applicazione della legge islamica. Queste regole potrebbero direttamente colpire i diritti di minoranze religiose non riconosciute, donne e bambini. Il testo Costituzionale non fa un passo avanti nei diritti sociali. Non si fa un riferimento chiaro ad un sistema di welfare diffuso né alla costruzione di un meccanismo pensionistico e scolastico equo. Il testo non limita i poteri dei militari che possono continuare a processare i civili senza controllo, non conferma gli impegni nei trattati internazionali, imbavaglia tutti i cittadini e la stampa con principi vaghi di moralità e rispetto della famiglia.
Ci sono anche delle luci. Prima di tutto il bando agli esponenti del Partito nazionale democratico di Hosni Mubarak da ogni incarico politico. In secondo luogo, il via libera ad elezioni regionali e locali che finalmente applichino i principi di sussidiarietà amministrativa e non impongano a livello locale le élite scelte al Cairo dal governo o dai militari. Sarà da valutare invece se, i previsti bilanciamenti al potere presidenziale e il rinnovato ruolo per il governo funzionino realmente nel nuovo rapporto tra potere legislativo ed esecutivo. Di certo il decreto del 22 novembre scorso, poi ritirato, che ampliava i poteri presidenziali non fa ben sperare in questo senso.
Lo scontro nelle settimane del voto ha reso evidente la frammentazione dell’opposizione egiziana. E neppure la decisione di boicottare il tentativo di dialogo nazionale con il presidente ha ottenuto una risposta unanime. L’opposizione è composta di tante anime, dai cristiani alle donne, dai lavoratori ai giovani rivoluzionari. Una dura critica all’operato del governo islamista è venuto anche dagli uomini di Mubarak che avevano votato per Ahmed Shafiq. Per questo tra approvare, come volevano i Fratelli musulmani, o bocciare la Costituzione, come voleva il vecchio regime, molti egiziani hanno ancora una volta scelto di boicottare. La vera opposizione è stata fatta dai giudici. Nella notte di domenica, Ahmed el-Zind, presidente del club dei giudici, è stato aggredito da ignoti. Con il boicottaggio del voto, i giudici egiziani hanno dimostrato che in nessun caso accetteranno un’applicazione estesa della legge islamica nel diritto ordinario. Questo però ha permesso ai giudici vicini ai Fratelli musulmani di supervisionare le operazioni di voto e di rendere in questo modo meno trasparente l’intera procedura elettorale.
Questa nuova Costituzione è una grande vittoria per gli islamisti. Ma non è un passo in avanti per tutti gli egiziani, non solo potrebbe innescare nuove tensioni e instabilità politica, mettendo in discussione la tenuta delle istituzioni pubbliche. 

Il Manifesto
Medio oriente, pag. 7
giovedì 27 dicembre 2012





sabato 23 febbraio 2013

giovedì 21 febbraio 2013

Il colpo di mano del presidente


Medio Oriente • L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas porterà a cambiamenti reali nella vita dei palestinesi? Riapriranno i valichi con Israele e con l’Egitto? Sono in pochi a crederci

EGITTO · Morsy accresce i poteri presidenziali e riavvia i processi sulle violenze di piazza


Il colpo di mano del presidente
Giuseppe Acconcia
Sull'onda del successo egiziano nella mediazione per la tregua tra Hamas e governo israeliano, il presidente, Mohammed Morsy, ha reso nota ieri sera in diretta televisiva una dichiarazione costituzionale temporanea. In base al decreto presidenziale, ogni riforma costituzionale, legge o decreto presidenziale, emesso a partire dallo scorso 30 giugno, non potrà essere abrogato o emendato fino all'elezione del nuovo parlamento e all'entrata in vigore della nuova costituzione. Con questo atto, si conclude definitivamente il dibattito sui poteri presidenziali, sorti in seguito alla dichiarazione costituzionale emessa dalla giunta militare (Scaf) per limitare i poteri decisionali del nuovo presidente eletto lo scorso giugno. Ma il testo va ben oltre, il presidente ha piena autorità di prendere ogni decisione in materia di unità nazionale, difesa della rivoluzione e sicurezza nazionale.
Inoltre, verranno di nuovo messi a processo i responsabili delle violenze contro i manifestanti a partire dagli attacchi del 25 gennaio 2011, data di inizio delle rivolte. Su questo punto, il leader dei Fratelli musulmani ha assicurato con un messaggio su Twitter che «ha inizio una vera vendetta per il sangue versato dai martiri della rivoluzione». Per fare questo, è stato immediatamente rimosso il procuratore generale, Abdel Meguid Mahmoud, responsabile, secondo la Fratellanza, di aver assolto i responsabili della «battaglia dei cammelli», l'episodio del due febbraio 2011 in cui si sono scontrati direttamente i sostenitori e gli oppositori del deposto presidente Mubarak. Inoltre, Morsy ha assunto il potere di nomina del nuovo procuratore generale, ed è stato immediatamente incaricato, Talat Ibrahim Mahmoud. Ma le novità non finiscono qui, secondo il testo annunciato ieri, la corte costituzionale non può sciogliere l'Assemblea costituente, che dovrà raggiungere un accordo sulla nuova costituzione entro due mesi né può dissolvere la Shura (Camera alta), la cui costituzionalità era stata messa in discussione dopo il controverso scioglimento dell'Assemblea del popolo (Moghles el-Shaab), disposta lo scorso giugno. Morsy ha poi mandato in pensione tutti coloro che sono stati condannati per violenze contro i manifestanti, assicurando la loro interdizione dai pubblici uffici.

In attesa dell’annuncio, migliaia di simpatizzanti dei Fratelli musulmani si sono assembrati nei pressi del palazzo di giustizia, su via Ramsis, nel centro del Cairo. «Il popolo sostiene le decisioni del presidente», gridavano. Dal fronte opposto, giovani rivoluzionari e forze laiche si sono date appuntamento in piazza Tahrir per domani con l'obiettivo di contestare il governo di Hesham Qandil e la nuova dichiarazione costituzionale. «Non permetteremo a Morsy e al suo partito di rovesciare lo stato di diritto», ha dichiarato l'attivista del partito degli egiziani liberi, Mohammed Abu Hamid. Molto duro anche il commento del liberale Amr Hamzawi: «con l'atto di oggi si dà il via ad una tirannia assoluta del presidente, è il colpo di stato degli ideali democratici e del principio di legalità». «Da oggi Morsy è il nuovo faraone», ha tuonato caustico, il premio Nobel per la pace Mohammed el-Baradei. Contemporaneamente proseguono le manifestazioni per ricordare la strage di via Mohammed Mahmoud, che è costata lo scorso anno la vita di oltre 50 persone. Nei giorni scorsi, ci sono stati duri scontri nei pressi del ministero dell’interno, al centro del Cairo. Tra gli slogan cantati dai giovani attivisti si sentono «Abbasso Morsy e Mubarak» e «Fine al governo del murshid» (guida spirituale islamica). Lo scorso anno gli scontri di via Mohammed Mahmoud avevano segnato la definitiva uscita di scena dei Fratelli musulmani dalle manifestazioni di piazza. Da quel momento, i movimenti giovanili, liberali e di sinistra sono stati ampiamente discreditati. Ed infine, estromessi dai palazzi delle istituzioni.

Il Manifesto
Internazionale, pag.7
venerdì 23 novembre 2012

mercoledì 20 febbraio 2013

Gaza e movimento sindacale


Gaza tra macerie e lavoro


Giuseppe Acconcia
Zouhir e suo figlio erano venditori d'acqua. Il 17 novembre 2012, nonostante i raid israeliani, hanno deciso di distribuire acqua gratuitamente per le vie di Gaza a chi ne avesse bisogno. «Mahmoud voleva assistere suo padre. Il mio vicino e suo figlio sono stati uccisi in un bombardamento pomeridiano nel nord della Striscia», racconta Ahmed, giovane venditore ambulante. Le rovine di case distrutte dai raid israeliani sono la quotidianità a Gaza. «I bambini sono così abituati a vivere tra le bombe che alle richieste dei genitori di tornare a casa rispondono: rientreremo solo quando i bombardamenti si avvicinano», spiega Mirwat, insegnante elementare di Gaza City. 

Ma lentamente si sta tornando alla normalità anche nella Striscia. Le scuole, incluse le 245 gestite dall'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione (Unrwa), sono di nuovo aperte. Per giorni sono proseguite le ispezioni dei tecnici per accertare la presenza di ordigni inesplosi nelle adiacenze delle scuole di Gaza, per ripulire le classi da macerie e vetri andati in frantumi durante gli attacchi. «Ci raccoglievamo in appartamenti lontani dai palazzi delle istituzioni, dalle sedi di Hamas e dalle moschee, con la speranza di non essere colpiti», racconta Khaled, allievo di una scuola media gestita dall'Unrwa, ancora scosso dai bombardamenti. 
Tuttavia, la sera del 29 novembre, è scoppiata la festa tra le strade e le rovine di Gaza per la vittoria palestinese alle Nazioni Unite. Mohammed Abbas, presidente dell'Anp, ha ottenuto l'adesione all'Assemblea generale dello Stato palestinese come osservatore. È stato accolto nei Territori come un eroe. Le bandiere verdi di Hamas, quelle gialle di Fatah e le rosse dei movimenti di sinistra sventolavano insieme, a Ramallah e Gaza. È la prima volta dal 2007, anno in cui Hamas è al governo, che Fatah, movimento politico del presidente Mohammed Abbas, partecipa ad una manifestazione insieme agli islamisti in questo lembo di terra. 
Ma gli otto giorni di bombardamenti israeliani della fine di novembre, l'operazione Pilastro di difesa, non sono ancora un ricordo. Non solo per le decine di vittime e le centinaia di feriti, ma le vite di bambini e lavoratori, già martoriati dall'assedio permanente, sono state messe in ginocchio. A Gaza, non ci sono sirene o allarmi che avvisino gli abitanti dell'imminenza di un attacco. «Viviamo in un quartiere dove ci sono le sedi di Hamas, ho quattro bambini. Mio figlio Yasin, 11 anni, ha smesso di parlare e le cure mediche non hanno ancora avuto effetto», ammette Tariq, operaio di Zaitoun. 
Non solo, oltre i due terzi dei tunnel, ad uso commerciale, del valico di Rafah che collega Gaza con l'Egitto, sono stati parzialmente o totalmente distrutti dai bombardamenti. Mentre il passaggio di Kerem Shalom è stato appena riaperto agli stessi ritmi precedenti l'attacco. E poi, nonostante la tregua siglata al Cairo il 21 novembre scorso, nei cieli di Gaza City vengono lanciati ancora centinaia di volantini dell'aviazione israeliana nei quartieri di Beit Lahia, Beit Hanouna, Jabalia, Tel el-Hawa che diffondono paura, chiedendo lo spostamento degli abitanti all'interno della Striscia. Oppure minacciano di estendere le no-go zone, aree soprattutto nei dintorni delle mura ai confini con Israele, dove gli abitanti di Gaza non possono mettere piede. 
Dal 2007, l'assedio e l'isolamento della Striscia sono diventati insostenibili per i lavoratori palestinesi. È sempre più complicato raggiungere la Cisgiordania e sono necessari permessi per ogni viaggio fuori dalla Striscia. I settori dove gli abitanti di Gaza trovano principalmente impiego vanno dall'amministrazione pubblica israeliana, agli uffici delle Nazioni Unite all'interno dei campi profughi e alle forze di sicurezza palestinesi (polizia, vigili, guardia nazionale e servizi segreti). Operai e contadini lavorano in Israele per salari due volte più alti di quelli di Gaza. Tuttavia, per ricevere un permesso di lavoro un palestinese di Gaza deve avere 35 anni, essere sposato con almeno un figlio. Solo nel settore agricolo è permesso anche ai più giovani di lavorare. 
I già gravi limiti alla mobilità dei lavoratori sono peggiorati in seguito all'attacco dello scorso novembre. La polizia israeliana ha ordinato a decine di palestinesi di scendere da bus israeliani sulla strada che conduce a Tel Aviv. Secondo la stampa locale, il ministero dei trasporti israeliano avrebbe in progetto di creare servizi di trasporto solo per palestinesi in seguito alle richieste avanzate da alcuni coloni. Nelle ultime settimane, alterchi e tafferugli tra passeggeri palestinesi e israeliani sono scoppiati quotidianamente all'interno dei bus. I provvedimenti sono collegati al timore delle forze di sicurezza israeliane di un incremento di attacchi contro civili dopo l'attentato di Tel Aviv dello scorso 21 novembre. Tuttavia, la confederazione sindacale palestinese (Pgftu) ha definito il provvedimento come una «decisione che crea discriminazioni in base alla nazionalità».
Con la fine dei bombardamenti, muratori e operai si sono di nuovo assembrati intorno alla barriera al valico di Erez. Ma insieme a loro, sono tornate anche le notizie di spari su operai che raccolgono calcinacci da riciclare. Sono ripresi anche i piccoli assembramenti di contadini che chiedono la sicurezza dei loro campi, di poter esportare frutta e verdura verso Israele. Molti di loro denunciano casi di contadini palestinesi feriti e centinaia di alberi di olivo distrutti dai coloni israeliani in attacchi mirati con danni ai loro campi. Tutto questo avviene in un contesto di altissima densità abitativa, in cui lo stato non ha legittimità e i diritti di proprietà sono incerti. Mentre Israele, ma anche l'Egitto, per decenni hanno controllato e ritardato il processo di nation building. Nonostante ciò, il tessuto di sindacati e ong, laici e islamici, che operano a Gaza City è vivo e in costante crescita. Anche i centri, gestiti da Hamas, tentano di favorire il rinnovamento della società civile locale. La gente di Gaza non si arrende.

Area 7
Quindicinale di critica sociale
venerdì 7 dicembre 2012


domenica 17 febbraio 2013

Egitto due anni dopo


Radio Vaticana
Radiogiornale ore 8.00,
luendì 11 febbraio 2013



Egitto ancora nel caos a due anni dalle dimissioni di Mubarak 


Due anni fa il presidente, Hosni Mubarak, dava le dimissioni, dopo le violente proteste di piazza che segnarono l'inizio delle primavera araba nel Paese. L'ex rais venne poi messo sotto processo per le sue responsabilità nell'aver represso nel sangue le manifestazioni. In due anni L'Egitto non ha raggiunto ancora una stabilità e nuovi e vecchi poteri forti continuano ad impedire una reale transizione democratica, mentre le proteste continuano nelle piazze. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Giuseppe Acconcia, giornalista, che ha segue le vicende egiziane: 

R. -- Da quel momento è iniziato il processo contro l'ex rais. E' stato condannato all'ergastolo ma in realtà ormai è tutto da rifare. Anche le condanne all'ergastolo per lui e l'ex ministro dell'Interno Habib el Adly sono da rivedere. E quindi, si torna un po' a quella data, all'11 febbraio 2011, in un clima di grande tensione.

D. -- Quei poteri forti che convivevano con Mubarak, sono ancora presenti, oggi?

R. -- Sì, proprio per evitare il ritorno al caos il presidente Mohammed Morsi ha conferito poteri speciali all'esercito che può arrestare i manifestanti, soprattutto nelle tre città che sono state oggetto di maggiori tensioni nelle ultime settimane: Port Said, Suez e Ismalia. Quindi, in qualche modo l'accordo tra islamisti ed esercito prosegue per tenere il Paese nella stabilità, per evitare che la piazza spinga ad una trasformazione radicale. Ma in realtà, il clima è talmente teso che viene presa di mira direttamente l'opposizione, e questo rende il clima sempre più teso e difficile da riportare alla normale tranquillità.

D. -- C'è ancora, nell'Egitto di oggi, qualcuno che rimpiange Mubarak?

R. -- Sicuramente, il primo rimpianto viene dall'approvazione della Costituzione, perché questa Costituzione è la Costituzione dei Fratelli musulmani e non rappresenta la complessità del popolo egiziano. Quindi, questa è sicuramente una rottura con il passato: la Costituzione del 1971 che è stata in vigore nei 30 anni di regime di Mubarak, dava una rappresentazione della società egiziana più equilibrata di questa.

D. -- Come Mubarak è riuscito a governare in modo stabile per 30 anni?

R. -- Prima di tutto con la legge di emergenza, che è stata in vigore per questi 30 anni, e che ha soffocato le manifestazioni e l'opposizione egiziana che si è trovata a poter manifestare di nuovo soltanto negli ultimi anni; e poi sicuramente con un sistema di assistenza che ha favorito la dipendenza dallo Stato delle classi più disagiate. Questo è stato fatto anche delegando parte del potere ai Fratelli musulmani, e con la fine del regime di Mubarak i Fratelli musulmani hanno acquisito quel potere che prima avevano soltanto marginalmente e così adesso sono loro il nemico dei manifestanti, sono loro che vogliono implementare e riprodurre il controllo sulla società che prima aveva il Partito nazionale democratico.

Testo proveniente dal sito della Radio Vaticana


http://www.news.va/it/historic?source=all&day=11&month=2&year=2013
http://it.radiovaticana.va/news/2013/02/11/egitto_ancora_nel_caos_a_due_anni_dalle_dimissioni_di_mubarak/it1-663754
http://youtu.be/lF-4vRSzOls

venerdì 15 febbraio 2013

La città nella città


EGITTO


LA CITTÀ NELLA CITTÀ

Il Cairo non è solo il luogo della lotta infinita tra laici e religiosi, tra Fratelli musulmani e partiti secolari.
È anche un’immensa fabbrica di immondizia che va a finire in un quartiere dove lavorano 60mila persone


GIUSEPPE ACCONCIA DA IL CAIRO
IL CAIRO NASCONDE ENORMI DISCARICHE. E I RIFIUTI GETTATI DALLE FINESTRE O RACCOLTI NEI PALAZZI SONO POCA COSA RISPETTO AI CINQUE GRANDI QUARTIERI COSTRUITI SU TONNELLATE DI IMMONDIZIA. Uno di questi si trova sulle alture di Moqattam. A sinistra si vede Qala, la cittadella di Saladino, più avanti si scorgono un monte di argilla e le antenne paraboliche di Moqattam. Qui c’è una delle sedi centrali di Libertà e giustizia, partito dei Fratelli musulmani, e si gode di una vista magnifica sulla Cairo antica. Ma, girato l’angolo, si trova la «Città dell’immondizia». Raggiungiamo l’altura passando attraverso sacchi di rifiuti accostati per le strade nel rione degli Zebelin, gli uomini che raccolgono i rifiuti. Si sale verso l’alto in un quartiere abitato da cristiani copti e musulmani salafiti. Per questi vicoli, ogni giorno 60.000 zebelin raccolgono, differenziano e riciclano tonnellate di rifiuti. Enormi sacchi di juta servono agli uomini per contenere qualsiasi cosa trovino tra l’immondizia dai cartoni all’alluminio, dal ferro alla plastica. Scorazzano su asini o carretti e sistemano i sacchi su camioncini che si spostano per le vie tortuose, spesso non asfaltate. Tutto procede come se l’immondizia non esistesse e l’intenso odore di plastica lavorata o di rifiuti in putrefazione non rimanesse nelle narici di chi passa. Ma gli uomini più anziani sorseggiano i loro tè, le donne e i bambini passeggiano per strada come in ogni altro quartiere del Cairo. E non amano che gli stranieri vedano una realtà che dovrebbe rimanere nascosta.

Gli zebelin separano e lavorano plastica, pvc, legno, ferro, rame, alluminio e cartoni. Macchinari rumorosi triturano i metalli. Dai minuscoli balconi di alcune case pendono carrucole che sorreggono quintali di materiale da lavorare. Ma al vertice di questa collina c’è l’immensa chiesa della Cava, dedicata a San Simone. Colpisce il contrasto tra questo edificio visitato dai pellegrini e il rumore del macero alle spalle. Si occupa della comunità padre Samman, che racconta delle rivolte del 2011 e dei suoi risultati in anni di impegno a Moqattam. «Prima di tutto viene la mia opera pastorale e per questo vorrei una Costituzione che non fosse basata sulla legge islamica, come leggo sui giornali egiziani», inizia padre Samaan con un fare timoroso. «Abbiamo aperto un piccolo ospedale e una scuola, tutti sono i benvenuti nei nostri centri: siano essi cristiani o musulmani. Ci occupiamo di orfani, poveri e vedove. Quando sono arrivato qui non c’era né acqua né luce», aggiunge orgoglioso del suo lavoro. Ma poi quando si parla di rivolte ammette: «La rivoluzione è finita e fallita da un pezzo. In prossimità delle elezioni sono venuti a visitarci i principali candidati e a chiedere il nostro voto. Noi vorremmo una sola cosa: equilibrio e rispetto fra cristiani e musulmani», ribadisce scettico sul futuro padre Samman. 

Scendendo per i vicoli abitati dagli zebelin, dei bambini giocano o leggono in una stanza colorata. Laila Zaghloul, una delle responsabili della ong «Spirit of the Youth», assiste i figli degli uomini che raccolgono i rifiuti. «Asma, tetano e epatite C sono la norma in questo quartiere. Noi le combattiamo innanzitutto con l’educazione e i vaccini. Non solo, diamo istruzioni per trattare i rifiuti ospedalieri, che però le donne del quartiere continuano a prendere con le mani per provare a lavarli e riutilizzarli», ammette Laila. «Possiamo ancora fare molto: costruire una piccola società che possa disporre di licenze oppure creare un sindacato di raccoglitori di rifiuti per proteggere i diritti di chi lavora l’immondizia. Potremmo ottenere finanziamenti internazionali per farlo. Fino ad ora il governo ha un accordo con un’azienda che si occuperebbe di raccolta e riciclaggio ma non coinvolge direttamente chi raccoglie i rifiuti», denuncia Laila.

A pochi passi da lì, si entra in una scuola dove molte donne lavorano tra telai. Dei «netturbini» di Zebelin si occupa l’Associazione per la protezione dell’ambiente (Ape). Questa ong tenta non solo di educare i bambini e di fornire servizi sanitari, ma anche di sensibilizzare al riciclaggio le famiglie che vivono nella discarica. «Abbiamo un programma specializzato nell’educazione delle donne. Sei donne lavorano qui nell’assemblaggio dei materiali riciclati e insegnano come fare ad altre 110 che proseguono il lavoro a casa», spiega una volontaria, Nicole. «Offriamo alle donne tre mesi di training pagato. Alla fine hanno un telaio e altri strumenti. Se i loro mariti raccolgono l’immondizia, le donne aiutano nel riciclaggio». Soprattutto i copti del quartiere sono coinvolti nel progetto. Nicole racconta come ha iniziato. «Nel 1984 è nata una comunità di raccoglitori di rifiuti organici, erano principalmente cristiani ortodossi. Allevavano maiali perché mangiassero i rifiuti». Nel 2010, in seguito all’influenza suina, il governo egiziano ha ordinato l’uccisione di tutti i maiali del paese. «Hanno tentato di eliminarli con un pretesto, ma ce ne sono ancora decine nascosti nelle case», assicura l’operatrice. Con il passare degli anni, le attività di questa associazione sono diventate essenziali per il quartiere. «Questa comunità è sempre stata ai margini. Lo stato qui non c’è. Nel 1998 abbiamo avviato il compostaggio dei rifiuti. Ma poi questa attività è stata trasferita altrove. Fino a quel momento l’immondizia veniva incendiata. Non solo, le donne all’inizio riversavano in casa i rifiuti raccolti dai mariti, abbiamo dovuto insegnare loro quanto male facessero queste pratiche. Da allora, esportiamo gli oggetti prodotti qui in tutto il mondo. In questi mesi però stiamo subendo continue minacce per le tensioni in atto nel quartiere». Il riferimento dell’attivista è agli scontri di Moqattam tra salafiti e cristiani che hanno insanguinato l’Egitto per mesi. Questa discarica è un microcosmo del paese, fermo dal 25 gennaio 2011, tra rifiuti in strada e disuguaglianze sociali. E così, le voci degli imam che invocano l’ecologia nei loro sermoni si perdono tra i sacchi colmi di oggetti di chi raccoglie rifiuti, gli zebelin.

Terra
Mensile ecologista
anno VII, numero 10, dicembre 2012
€3,50

giovedì 14 febbraio 2013

L'Egitto vota la bozza di Costituzione


Radio Vaticana
Radiogiornale ore 8.00,
sabato 22 dicembre 2012


L'Egitto vota la bozza della Costituzione. Scontri e feriti ad Alessandria

Si torna al voto in Egitto per il secondo turno del controverso referendum sulla nuova costituzione. Domenica scorsa il fronte del “si”, sostenuto dai Fratelli musulmani, aveva ottenuto la maggioranza. Alta l’affluenza ai seggi che chiuderanno in tarda serata, con qualche ora di ritardo, per consentire a tutti di votare. Sulla sicurezza vigilano circa 250 mila tra poliziotti e militari.Sempre di oggi la notizia delle dimissioni del vicepresidente egiziano Mekki, il quale ha ritenuto incompatibile il suo ruolo politico con quello di giudice,e il presidente della Banca centrale egiziana.Il servizio di Giuseppe Acconcia: 
Sono aperti i seggi per il secondo turno del referendum costituzionale in Egitto. Sono chiamati alle urne gli elettori di 17 governatorati tra cui Giza, Suez e Minia. Ieri, si sono registrati scontri ad Alessandria. In una manifestazione organizzata dagli islamisti intorno alla moschea Qaed Ibrahim, è iniziata una sassaiola tra sostenitori e oppositori del referendum. Secondo il Ministero della sanità, 55 persone sono rimaste ferite negli scontri. Anche lo scorso venerdì, per il sostegno accordato ai "sì" alla Costituzione dallo sheykh di Alessandria, el-Mahalawy, avevano fatto seguito duri scontri all’interno e all’esterno della moschea. È poi stata resa nota ieri dal presidente Morsi la lista dei 90 esponenti della Shura, la Camera alta che prenderà pieni poteri legislativi in caso di vittoria dei 'sì' al referendum. Tra i nominati ci sono 12 cristiani, ma nessuno dei leader del Fronte nazionale di salvezza ha accettato di occupare un seggio. Si è concluso così il quarto tentativo di dialogo tra islamisti e opposizione, al quale hanno preso parte anche rappresentanti delle Chiese cristiane egiziane. I risultati definitivi del voto sono attesi per lunedì.

martedì 12 febbraio 2013

L'opposizione denuncia brogli


Radio Vaticana
Radiogiornale ore 8.00,
lunedì 24 dicembre 2012

Egitto: dopo il sì alla nuova Costituzione, l'opposizione denuncia brogli
In Egitto la nuova Costituzione è legge. Questo l’esito della nuova giornata referendaria che avrebbe visto la netta vittoria dei sì. In festa i Fratelli Musulmani che sostengono il presidente Morsi, mentre l’opposizione parla di brogli e di truffa, annunciando nuove manifestazioni di protesta. Dal Cairo, Giuseppe Acconcia: 
Saranno resi noti oggi dalla Commissione Elettorale, i risultati ufficiali del referendum costituzionale del 15 e 22 dicembre in Egitto. Secondo i dati diffusi da Libertà e Giustizia, partito dei Fratelli Musulmani e rilanciato dalla tv di Stato, i sì hanno prevalso con il 64% dei voti. Bassa l’affluenza alle urne, ferma al 32%. Ahmed Shafiq, candidato alle presidenziali vicino all’ex presidente Hosni Mubarak, ha parlato di risultato falso, mentre le opposizioni chiedono l’annullamento del voto per brogli. Nella notte di ieri è stato aggredito il presidente del Club dei Giudici, Ahmed al-Zind, ma non sono ancora chiare le dinamiche dell’incidente. I magistrati egiziani si erano espressi in ampia maggioranza per il boicottaggio del voto. A conferma del clima di spaccature e tensione, nella notte di sabato si sono dimessi il vicepresidente Mahmud Mekki ed il direttore della banca centrale Faruq el Hoqda.

lunedì 4 febbraio 2013

Seggi aperti in Egitto per il referendum costituzionale


Radio Vaticana
Radiogiornale,

sabato 15 dicembre 2012

Seggi aperti in Egitto per il referendum sulla Costituzione
Da un’ora si vota in Egitto per il referendum sul nuovo testo costituzionale. Ieri ad Alessandria la polizia ha sparato lacrimogeni su due gruppi che si stavano scontrando: sostenitori di fazioni islamiche, vicine al presidente Morsi, e dall'altra oppositori. A scatenare lo scontro era stato l’appello proprio ieri di un religioso musulmano a favore della controversa Costituzione. Della campagna elettorale e delle tensioni in Egitto Fausta Speranza ha parlato con Giuseppe Acconcia, giornalista free lance che si trova al Cairo.


domenica 3 febbraio 2013

Verso il Referendum



Radio Vaticana
Radiogiornale,
venerdì 14 dicembre 2012

Egitto: domani il referendum sulla Costituzione. Ancora forti frizioni tra presidente e opposizione

In Egitto vigilia incandescente per il referendum sulla nuova Costituzione. Anche oggi manifestazioni sia dei sostenitori del presidente Morsi, che dell’opposizione. Si andrà al voto in due date, domani e il 22 dicembre prossimo, a causa della defezione ai seggi di gran parte della magistratura, contraria alla nuova Carta. Sul piede di guerra anche il fronte che accusa il presidente del tentativo di svolta autoritaria e che minaccia di non riconoscere il voto se non vi saranno le condizioni di necessaria trasparenza. Le Chiese cristiane, intanto, fanno appello alla partecipazione: “Gli egiziani esprimano il proprio voto in libertà e secondo coscienza”. Sul clima a poche ore dall’apertura delle urne, Giancarlo La Vella ha sentito il giornalista Giuseppe Acconcia, che si trova in Egitto:

R. - Per oggi sono previste due manifestazioni opposte: una dei Fratelli Musulmani - ovviamente a favore del presidente Morsi e della nuova Costituzione - e l’altra del fronte delle opposizioni. Come al solito, si riuniranno in Piazza Tahrir e poi in altri quartieri della città. Ieri, il fronte delle opposizioni ha espresso grande preoccupazione per la correttezza del voto. Soprattutto Amr Mussa e El Baradei hanno parlato della difficoltà di tenere il voto in due giorni. Il fronte dell’opposizione fa notare come in questo modo sia più facile manipolare il risultato del referendum.
D. - I contatti che hai con gli egiziani dimostrano che effettivamente c’è questa spaccatura nel Paese anche a livello della popolazione?
R. - Sì. La popolazione è divisa: c’è chi vuole che questo voto per il "sì" riporti la stabilità nel Paese e condizioni economiche migliori, e chi come l’opposizione che spinge per il “no” sostenendo alcuni punti critici della nuova Costituzione che vanno dai poteri del presidente della Repubblica, alle questioni relative alle corti militari che possono giudicare i civili, e a tanti piccoli elementi che sono considerati non appropriati nella nuova Costituzione, come il riferimento ai valori della moralità e della famiglia, che potrebbero limitare i diritti delle minoranze religiose e delle donne. Quindi la società egiziana non soltanto è spaccata nel giudicare il referendum, ma è spaccata nel giudicare la figura di Mohammed Morsi. Questo referendum di oggi e del 22 dicembre prossimo, si sta trasformando in un referendum pro o contro Morsi.
D. - Ritieni che dopo il voto non tanto lo scontro con le opposizioni, ma quello con la magistratura possa in qualche modo rientrare?
R. - Già nei giorni scorsi alcuni magistrati sono tornati indietro, dopo che il presidente Morsi ha ritirato il decreto presidenziale del 22 novembre nel quale ampliava i suoi poteri. Ma la spaccatura con la magistratura è particolarmente grave non soltanto perché il decreto presidenziale ha limitato il ruolo dei magistrati, ma anche perché all’interno della nuova Costituzione ci sono punti che limitano l’operato dei magistrati, in particolare quello secondo il quale i civili possono essere processati da corti militari. Ecco perché la spaccatura con i magistrati è grave, e la magistratura ha continuato a manifestare anche nei giorni scorsi insieme a gran parte della stampa egiziana. Infatti, l’altro punto grave è la limitazione del diritto di espressione: quindi sono i giornalisti e i magistrati che continuano a manifestare per le strade del Cairo e anche nelle altre città egiziane.


venerdì 1 febbraio 2013

Le ragioni del «Sì»


EGITTO

Referendum • Oggi sono chiamati ad esprimersi sulla Carta costituzionale voluta dai Fratelli musulmani gli elettori di 18 governatorati. Islamisti di nuovo in piazza, in un clima di alta tensione

Le ragione del «Sì» / Parla Mahmoud al-Barra
Salario minimo e altre promesse
«Così il presidente vi stupirà»

Per il leader di Libertà e giustizia nel Delta del Nilo, la vita degli egiziani sarà migliore


Giuseppe Acconcia
IL CAIRO

I politici di Libertà e giustizia hanno delle biografie molto complesse e per la metà degli egiziani sono dei veri eroi. Alcuni hanno passato tutta la loro vita in prigione, altri sono stati costretti all’esilio, molti hanno svolto attività politica clandestina e non hanno potuto realizzare tante delle loro aspirazioni. Tra loro Mahmoud al-Barra. Abbiamo incontrato il politico islamista nella sede di Libertà e giustizia nel centro della città operaia di Mahalla al-Kubra.
Al-Barra ci accoglie con cordialità. È stato coinvolto nell’inchiesta che negli anni novanta ha portato all’arresto di decine di islamisti, era accusato di far parte dell’Organizzazione internazionale dei Fratelli musulmani, un organismo che unisce gli islamisti di Siria, Giordania, Libia, ha uffici in Palestina e negli Emirati. «Questa costituzione garantisce le libertà di operai e contadini perché estenderà i diritti a servizi sanitari e pensioni per molti di loro», inizia al-Barra. Ma una delle critiche principali a questo testo riguarda l’ambiguità e la vaghezza di molti articoli. «Ogni Costituzione deve essere una dichiarazione di intenti che poi la legge deve definire. A scrivere questa Carta hanno partecipato tutti, se poi le opposizioni hanno abbandonato l’Assemblea all’ultimo momento lo hanno fatto per un calcolo politico», prosegue al-Barra. Il politico critica duramente il Fronte nazionale di salvezza. «Hanno interesse a discreditare il presidente Morsi, ad opporsi pregiudizialmente a tutte le sue decisioni. Mentre noi Fratelli musulmani fatichiamo a selezionare la nostra classe dirigente per incentivare i migliori, le opposizioni sono un cartello elettorale senza alcun radicamento sul territorio». Tuttavia, è inequivocabile che al primo turno del referendum Libertà e giustizia non abbia brillato. «Questo è per la campagna mediatica avviata contro Morsi. In realtà con questa Costituzione si fa un grande passo avanti. La più importante conquista è l’articolo 232 che impedisce ai politici del Partito nazionale democratico (dell’ex presidente Hosni Mubarak, ndr) di prendere parte alla vita politica di questo paese. Perciò ci sono stati tanti “no”: sono le voci di coloro che vorrebbero il ritorno al passato», assicura al-Barra. Ma i limiti principali di questo testo riguardano l’assenza di diritti sociali. «La prima legge che varerà il nuovo Parlamento riguarderà il salario minimo e massimo. In questo modo si supera il tema degli stipendi legati alla produzione. A prescindere dai livelli produttivi, nessun egiziano potrà percepire un salario inferiore al minimo stabilito per legge. Inoltre, ci batteremo perché i contadini siano rappresentati all’80% nei sindacati di categoria e gli operai al 50%. Non solo, vedrete come Morsi, appena i “sì” vinceranno, prenderà delle decisioni estremamente popolari che miglioreranno la vita di tutti gli egiziani», conclude il politico.
Alla fine della conversazione, al-Barra propone un lavoro al nostro accompagnatore egiziano. Le rivolte del 2011 stanno riproducendo con altri schemi i vecchi vizi di questo paese: clientelismo, familismo e assistenzialismo come sistema di delega per governare. 

Il Manifesto
Egitto, pag. 9
sabato 22 dicembre 2012