giovedì 1 dicembre 2011

Dialogo del mondo arabo con la politica. La locomotiva. Ottobre 2002



DIALOGO DEL MONDO ARABO CON LA POLITICA
Cosa vuol dire “politica dove non esiste”
Vivere è politica: scrivere, agire, esprimersi, rapportarsi. Non serve frequentare partiti o manifestare per individuare la propria appartenenza. Le categorizzazioni destra-sinistra non hanno senso perché la politica le supera manifestandosi oltre la dichiarata o la taciuta identità partitica.
Nel mondo arabo non esiste distinzione tra destra e sinistra e, pertanto, non esisterebbe neanche la politica come in occidente intesa. Esiste, però, la vita e con essa, come detto, la vera politica. Le differenziazioni di un mondo così complesso potrebbero determinare un’errata cognizione della realtà se analizzate con forzata generalizzazione. Un fatto è certo: la semplicità è ciò che  contraddistingue chi è arabo e vive tra la gente vera. Ogni forma di apparato partitico e amministrativo è considerata superflua o quanto meno inutile da chi vede nel familismo morale, nella religiosità aggregante, nel lavoro come sostentamento, nella disponibilità verso gli altri e lo straniero, nel divertimento, pressoché le uniche necessità della vita. In Marocco si sono appena svolte le elezioni parlamentari. Seguendone la preparazione e la campagna elettorale la sensazione è di totale disinteresse della gente. Non sono mancate manifestazioni pubbliche, comizi privati e dibattiti televisivi, ma l’equivalenza dei candidati e la forza del potere regale rendono palese agli occhi della gente la farsa organizzata. Il re Mohammed VI ha già definito tutto a prescindere dal risultato elettorale; addirittura i ministri della Giustizia, degli Interni, degli Affari esteri, dell’Agricoltura sono uomini a lui fedeli e da lui indicati. Questo la gente lo sa, ma continua ad amare il re e ciò che rappresenta reputandolo l’unico antidoto ai mail del Marocco. In Siria, paese che ospita organizzazioni palestinesi ritenute terroristiche, le elezioni sono una formalità perché l’unico candidato è Abdallah. Sebbene sia considerato unanimemente, da islamici e minoranze cristiane, l’uomo giusto per lo sviluppo siriano, in realtà si tratta di un dittatore. In Pakistan, in questi giorni, si svolgono elezioni politiche e provinciali. Anche qui i limiti per una corretta competizione risultano assolutamente evidenti: i due exprimi ministri tra cui Ben Azir Butu non sono ammessi nelle liste elettorali, formalmente per motivi di corruzione; i requisiti per poter essere eletto risultano dipendere dal conseguimento della laurea in un paese dove il 52% degli abitanti è analfabeta. Dai casi illustrati e da numerose realtà ad essi riconducibili deriva la sostanziale verifica della tesi dell’assenza di istituzioni democratiche e dibattito partitico nella quasi totalità dei paesi arabi. Tuttavia, la concentrazione del potere nelle mani di un monarca assoluto e l’appoggio incondizionato del popolo sono fase naturale dello sviluppo di uno stato. Questa fase, però, non implica la mancanza della libertà politica della gente. Anzi, un arabo può essere politicamente più libero di un uomo occidentale se svolge la sua personalità secondo le inclinazioni del proprio spirito, seguendo semplici bisogni, semplici aspirazioni, semplici sentimenti. Molti arabi vivono in questo modo la propria esistenza; essi fanno vera politica. La distinzione destra-sinistra definisce non l’appartenenza ad una fazione ma un attributo dell’essere uomo. Il confliggere della libertà individuale con l’impossibilità di sviluppare pienamente la propria personalità determina la necessaria ricerca anche di libertà parlamentare. Le rivoluzioni iraniane sono il tangibile risultato di questo conflitto e la possibile strada verso cui tenderanno, con le dovute proporzioni, alcuni degli stati citati. Saranno il superamento della soglia di sussistenza e una maggiore sicurezza economica a determinare la ricerca di ulteriori diritti politici a discapito, forse e purtroppo, di quella libertà sostanziale già presente nella gente araba. Si spera che le peculiarità di questo mondo possano evitare l’alienazione democratica occidentale.
Giuseppe Acconcia


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