lunedì 10 dicembre 2012

Tank in piazza, Morsi apre all’opposizione


IL SANGUE DI TAHRIR


Egitto • Gli attivisti lasciano Heliopolis, tre cortei in marcia verso il palazzo del presidente che diventa «fortezza» circondata da tank e cavalli di Frisia protetti dai militari. La protesta non si ferma


Tank in piazza, Morsi apre all’opposizione

Alla fine il presidente egiziano chiama l’opposizione al dialogo per domani, annunciando che potrebbe annullare l’articolo 6 del decreto costituzionale che amplia i suoi poteri



Giuseppe Acconcia
IL CAIRO

Le strade che da Roxy conducono ad Heliopolis sono transennate. Intorno alla fortezza di Morsi, il palazzo di Ittihadia, ci sono ancora giovani e attivisti pronti a passare qui la notte. «Ero con lui fino al giorno prima che diventasse presidente, ora penso che i Fratelli musulmani non siano in grado di governare», ci racconta Abu Bakr, guidatore di microbus diretto verso piazza Tahrir. Nel pomeriggio di ieri sembrava tornata la calma nel quartiere di Heliopolis. La guardia presidenziale aveva imposto ai manifestanti di lasciare le strade del quartiere residenziale. Mentre si vedevano intorno all’ingresso del palazzo di Morsi, tre carri armati dell’esercito e nuove barricate. E tutti, laici e Fratelli musulmani, avevano deciso di abbandonare il campo di battaglia. Ma subito dopo, gli attivisti di opposizione hanno sfidato il divieto di manifestare prendendo parte a tre diversi cortei che hanno raggiunto Heliopolis di sera. Uno è partito dalla cattedrale di Abbasseya, l’altro dalla moschea el-Nour sempre dal quartiere di Abbasseya, il terzo dalla moschea Raba al-Adawia di Medinat Nassr. «Siamo contrari alla guida del murshid (guida spirituale islamica, ndr)», «Questa notte è la fine della Fratellanza», «La chiamano Libertà e Giustizia, ma hanno ucciso i nostri fratelli con proiettili», gridavano i manifestanti. Gli attivisti si sono dati poi appuntamento per oggi in piazza Tahrir per una grande manifestazione contro il referendum costituzionale. Tra la gente si faceva fervente l’attesa per il discorso presidenziale. Secondo la stampa conservatrice, che circolava per strada, Morsi avrebbe potuto annunciare di voler posticipare il referendum, previsto per il prossimo 15 dicembre. Non solo, il premier Qandil aveva invece assicurato che elezioni parlamentari si sarebbero tenute entro tre mesi.
Ma, in due giorni, uno ad uno si sono dimessi tutti i consiglieri del presidente. Ha lasciato ieri anche il vice presidente di Libertà e giustizia, il docente copto Rafik Habib. «Ho deciso di abbandonare il mio ruolo politico», ha annunciato Habib. Non solo, si è dimesso anche il presidente della televisione di Stato, Essam el-Amir, in relazione alla crisi politica. «Nelle circostanze estrememente delicate che sta attraversando l'Egitto rinuncio alla presidenza della televisione egiziana affinchè possiate trovare una persona adatta a condurre le vostre politiche». Amir ha spiegato di aver «preso questa decisione dopo aver assistito alla manifestazione dei Fratelli Musulmani di fronte all’Università del Cairo (dello scorso sabato, ndr)». In particolare Amir ha stigmatizzato l’uso dei giovani islamisti da parte dei Fratelli musulmani. «Sono inaccettabili gli appelli della Fratellanza ai giovani a riunirsi davanti al palazzo presidenziale. Li usano come uno strumento per il conflitto e così viene versato sangue egiziano da entrambe le parti», ha concluso. A sorpresa, anche il comitato scientifico della massima istituzione islamica del paese, la moschea Al-Azhar, ha chiesto ieri a Morsi di sospendere immediatamente il decreto pigliatutto con cui ha ampliato a dismisura i suoi poteri e di riavviare il confronto politico.
Dal canto suo, uno dei leader dell’opposizione el-Baradei, contro il quale è stata avviata un’inchiesta per spionaggio e incitamento alla sovversione lo scorso martedì, si è duramente scagliato contro la bozza di Costituzione che, secondo lui, è in stato di «morte clinica». Mentre, l’ex segretario generale Amr Moussa ha incontrato vari politici islamisti. Contemporaneamente, si teneva nel palazzo presidenziale un vertice fra Morsi, il premier Hisham Qandil, e i ministri di difesa, interno, giustizia, informazione, il capo dei Servizi segreti egiziani (Mukabarat) ed il comandante della guardia repubblicana. A conclusione del vertice Morsi ha lasciato il palazzo da un’uscita laterale. 
Si vedono per strada solo i resti degli scontri della notte di mercoledì in cui sono morte sette persone. Secondo il ministero della Sanità i feriti sarebbero stati oltre 700 e 150 gli arresti. C’è anche un giornalista egiziano fra le vittime degli scontri. È Hosseini Abul Deif del quotidiano el-Farg, ucciso da un’arma da fuoco. Scontri sono scoppiati ieri anche a Zagazig nella regione di Sharqiya, luogo di nascita di Morsi, nel Delta del Nilo. Dopo il lancio di sassi tra sostenitori e oppositori del presidente, i lacrimogeni delle forze di sicurezza hanno costretto ad evacuare l’ospedale universitario di Zagazig a due passi dalla casa natale del presidente egiziano.
Chi spara questa volta contro i manifestanti? Non è l’ex presidente Hosni Mubarak ad ordinarlo nè la guida della giunta militare, eppure il sistema repressivo si riproduce all’infinito limitando lo spazio del dissenso. Mentre i Fratelli musulmani innescano deliberatamente gli scontri attivando i loro sostenitori ad orologeria. Spingendoli cioè a scendere in piazza quando la tensione è alta e la guerrilla inevitabile. Tuttavia, i Fratelli musulmani hanno rimandato al mittente queste accuse. Secondo loro, attivisti islamisti sono presi di mira da vandali armati. E questo sarebbe dimostrato dal fatto che 5 delle 7 vittime di ieri sono militanti della Fratellanza. Centinaia di uomini e donne si attardano al mercato di Attaba e più avanti dei bambini si rincorrono al mercato dei libri di Zbakeya. In via Talaat Harb i venditori di strada urlano come al solito. Tra rabbia e dissimulazione, si prepara un’altra notte bianca nelle vie del Cairo.

Il Manifesto
Internazionale, pag. 8
venerdì 7 dicembre 2012




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