lunedì 26 novembre 2012

Intervista a Samir Amin


SENZA DIFESA

Tregua • Hamas e Egitto la annunciano, Israele frena. Ma l’intesa non c’è ancora. Hillary Clinton arriva oggi a Gerusalemme


INTERVISTA · Parla Samir Amin, presidente del Forum internazionale del Terzo mondo di Dakar

«Con l’embargo non c’è pace»

«L’Egitto ha le mani legate perché non può mettere in discussione gli accordi di Camp David». I Fratelli musulmani sono allineati con Washington e Bruxelles, «ma anche Hamas sbaglia»


Giuseppe Acconcia
Chiediamo a Samir Amin, direttore del Forum internazionale del Terzo mondo, se crede ad una tregua tra Hamas e il governo israeliano. «Non è possibile una tregua in queste condizioni. Ci vorrebbe una pressione reale su Israele per la ricostruzione dello stato Palestinese. Per questo, deve essere chiaro a tutti i negoziatori che non ci può essere la pace con l’embargo in atto a Gaza». In realtà, sembra che il presidente, Mohammed Morsy, abbia rilanciato il ruolo dell’Egitto nei colloqui di pace e per il cessate il fuoco. «L’Egitto non può cambiare la sua posizione in merito al conflitto israelo-palestinese. Il nuovo governo islamista ha accettato le condizioni di partenza. In altre parole, ha le mani legate perchè è obbligato a rispettare gli accordi di Camp David, che non preparano alla pace ma alla continuazione della guerra. Per questo, l’Egitto è costretto alla neutralità nella politica di colonizzazione di Israele», è il commento dell’economista egiziano. 
Tuttavia, il ministro degli esteri del Cairo, Kamel Amr, ha promesso che l'Egitto non  proseguirà con l’embargo di Gaza. «Di sicuro i Fratelli musulmani sono infastiditi dal fatto che non possono sostenere apertamente Hamas. Però, non sono mai arrivati al punto cruciale: dichiarare che la reazione del movimento palestinese, con il lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso Israele, è giustificata dall’attacco israeliano. Non facendo questo, i Fratelli musulmani non sostengono Hamas nei fatti, ma solo con dichiarazioni. E così, operano in continuità con il regime di Mubarak e tollerano le azioni aggressive di Israele». Il riferimento di Samir Amin è qui alla condizione posta dal movimento islamista palestinese Hamas per il cessate il fuoco, cioè la fine dell’embargo su Gaza. «È questo il punto, Hamas assicura di accettare che non saranno lanciati altri missili su Gaza se Israele fermasse l’embargo che affama la popolazione della Striscia. A questo proposito il sostegno di Washington e Bruxelles alla mediazione egiziana chiarisce l’intenzione che nulla cambi negli equilibri regionali». Ma i Fratelli musulmani sembrano trovarsi in una posizione critica: continuare a favorire il dialogo tra le due fazioni palestinesi, Fatah e Hamas, in corso da mesi al Cairo, o appoggiare Hamas. «Di sicuro l’Egitto non vuole la rottura dei colloqui tra le due fazioni palestinesi. Ma credo che in questo momento sia in gioco la cessazione delle ostilità e degli attacchi israeliani su Gaza. - prosegue Samir Amin - Se il governo egiziano, e l’esercito che rimane il secondo pilastro del sistema di potere in Egitto, volessero davvero, smaschererebbero la politica di Stati uniti e Unione europea sul conflitto israelo-palestinese e direbbero che le condizioni per la tregua poste da Israele sono inaccettabili. Tuttavia, Stati uniti, Israele e paesi del Golfo non vogliono un Egitto forte e indipendente. Questo metterebbe, prima di tutto, in discussione il controllo militare di Washington e della Nato sulla regione, in secondo luogo, metterebbe in questione il
presente abbandono dei palestinesi alla loro sorte, infine, ridimensionerebbe il ruolo delle monarchie del Golfo e la loro egemonia sul mercato del petrolio e sul discorso islamista. Invece, continuare a sostenere la posizione degli Stati uniti in Medio oriente comporta la distruzione sistematica degli stati della regione, lo hanno fatto in Iraq e Libia, lo stanno facendo ora in Siria».
Questa crisi ha avuto inizio con l’uccisione di una figura controversa, il leader del braccio militare di Hamas, Ahmed al-Jabari. «L’uccisione a distanza è un crimine di guerra, un crimine politico, non è accettabile che uno stato si arroghi il diritto di decidere chi deve vivere
e chi morire», è l’opinione di Amin. Nonostante questo, anche Hamas sta commettendo degli
errori. «Hamas non sa come formulare e rendere credibili le sue condizioni per la tregua. Non ha contatti e capacità diplomatiche sufficienti. Non solo, non ha una macchina di propaganda all’altezza di quella israeliana», ha aggiunto con lucidità l’intellettuale egiziano. D’altra parte, il primo ministro turco, Recep Erdogan, ha accusato ieri Israele di fare «pulizia etnica» nella Striscia di Gaza. Nonostante ciò, sembra che si stia formando un asse tra Mosca, Ankara e Il Cairo con intensi colloqui e per la fine della crisi. Ma l’economista egiziano è certo che questi tentativi nascondano un vecchio sistema di potere. «La politica estera turca non è nuova nei fatti, il cambiamento è solo di facciata. Anche se ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele (dal 2010, con il caso Mavi Marmara, ndr), Ankara è allineata con gli Stati uniti in quanto potenza della Nato». Non solo, il lancio di missili di fabbricazione iraniana da parte di Hamas ha messo in luce il tentativo di Tehran di armare il movimento palestinese. «Gli iraniani sono implicati nelle vicende di Gaza come in tutte le questioni regionali rilevanti: questa non è una novità. Non solo, i movimenti islamisti della regione cercano la vicinanza ideologica con la rivoluzione iraniana. Così come gli Stati uniti, potenza esterna alla regione, armano Israele, lo stesso fa Tehran, potenza regionale, con Hamas», conclude con ironia Samir Amin.


Il Manifesto
Internazionale, Senza fine pag.3
mercoledì 21 novembre 2012


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