martedì 16 ottobre 2012

Mani, Egitto, 14.09.12, 11 settembre





11 SETTEMBRE IN LIBIA


La rabbia • Dal Nordafrica al Medio Oriente fino all’Asia esplode la protesta del mondo islamico contro il «film» «L’innocenza dei musulmani»


L’Egitto in ambasce


Il Cairo esplode. Il governo dei Fratelli musulmani, anche loro oggi in piazza, rassicura gli Usa. Arrivati in Libia i 200 marines


Giuseppe Acconcia


Sono arrivati oggi in Libia 200 marines dell’unità americana anti-terrorismo. Non si è fatta attendere la prima risposta di Washington all’attentato alla sede diplomatica degli Stati uniti a Bengasi dello scorso martedì, costata la vita dell’ambasciatore, Chris Stevens, e di tre funzionari. Le autorità libiche hanno annunciato arresti e indagini congiunte con il governo americano per stabilire le responsabilità dell’attacco. Ma non convince la prima ricostruzione, fornita da Tripoli. Seri interrogativi restano irrisolti in merito ai mandanti dell’intervento armato messo a segno da gruppi jihadisti. 
Ma ormai lo scontro settario è innescato. I Fratelli musulmani egiziani preparano la nuova grande manifestazione di oggi contro «L’innocenza dei musulmani». Sono bastate poche immagini del film blasfemo sulla vita del profeta, tradotte in arabo e postate su Youtube, a creare scompiglio tra jihadisti in Africa, Asia e Medio oriente. Il regista del film, sulla cui identità e nazionalità restano molti interrogativi aperti, aveva ottenuto finanziamenti dalla comunità copta negli Stati uniti e il sostegno del pastore protestante, Terry Jones, noto per radicali posizioni anti-islamiche. Mentre la televisione di stato egiziana aveva immediatamente diffuso la notizia che la famiglia del produttore del film si trovasse in Egitto. Sembrano le consuete scene di paura e violenza, create e fomentate a orologeria, da istituzioni pubbliche e apparati di sicurezza nazionale. E in un lampo, l’ondata anti-americana si è allargata ieri alle sedi diplomatiche degli Stati uniti in Yemen, Iran, Tunisia, Marocco e Bangladesh. Mentre sono state rafforzate le misure di sicurezza intorno alle ambasciate americane in Nigeria, Indonesia e Malesia. 
A Sanaa, secondo testimoni, la polizia ha sparato contro i manifestanti che tentavano di scavalcare il recinto dell'ambasciata degli Stati uniti. Alcuni uomini hanno fatto irruzione nella sede diplomatica appiccando un fuoco e bruciando la bandiera americana. Gli scontri hanno provocato due morti e cinque feriti. Secondo la stampa locale, sarebbe stato il noto leader islamico radicale, Abd al-Majid al-Zindani, ad istigare gente comune a scendere in piazza. Ma ieri, si sono tenute manifestazioni anche a Tunisi, Casablanca, Dakha e Tehran. Qui i manifestanti, intorno all’ambasciata svizzera, che cura gli interessi degli Stati uniti in Iran, hanno gridato: «Morte all'America», «Morte al regista». 
Mentre al Cairo a partire dallo scorso martedì, migliaia di giovani attivisti e salafiti hanno raggiunto l’ambasciata degli Stati uniti nel quartiere residenziale di Garden City. «Il profeta non si tocca» - gridavano. Nella giornata di ieri, i manifestanti hanno incendiato tre veicoli delle forze dell’ordine, mentre i poliziotti hanno lanciato lacrimogeni, tentando di far convogliare l’assembramento verso piazza Tahrir. È fin qui di oltre 200 il numero dei feriti negli scontri tra forze di sicurezza e attivisti. Sul posto è stato allestito un ospedale da campo. Già nella notte di mercoledì, gruppi di salafiti avevano raggiunto l’ambasciata americana al grido: «Dio è grande». «Sono qui per far sentire il mio dolore per la grave diffamazione del profeta» - ha detto Maha Ahmed, giovane attivista. Mentre un estremista salafita, Abu Islam, stracciava e dava fuoco ad un vangelo. «Chiediamo le scuse del governo americano» - ha ribadito un barbuto con al braccio una donna velata. Nella giornata di martedì avevano preso parte alle manifestazioni anche attivisti copti. «Siamo qui perchè sappiamo cosa significa ricevere insulti contro la religione» - ha ammesso Hani, leader dell’Associazione dei copti uniti. «Rifiutiamo ogni coinvolgimento della comunitá copta dopo le rivelazioni sulle identità dei produttori del film» - ha concluso. 
I politici egiziani di ogni schieramento hanno criticato la pellicola blasfema. Mentre il segretario generale della Lega araba, Nabil el-Araby, si è affrettato ad esprimere il suo «rifiuto categorico» all'attacco armato contro il consolato degli Stati uniti in Libia. Ma gli occhi sono puntati ora sul neo-eletto presidente egiziano, Mohammed Morsy, in visita a Bruxelles e Roma. È la prima crisi settaria che l’esponente dei Fratelli musulmani deve gestire. Il degenerare degli eventi potrebbe mettere alla prova le buone relazioni con le autorità americane, costruite per anni dal movimento islamista. Il profeta è «una linea rossa che nessuno deve toccare» - aveva detto Morsy, in un intervento alla televisione di stato egiziana, puntando il dito contro, Terry Jones, il pastore americano che ha ripetutamente bruciato in pubblico il corano. «Noi non aggrediamo nessuno e non accettiamo aggressioni», aveva proseguito Morsy, rassicurando le autorità americane sul rafforzamento della sicurezza intorno a sedi diplomatiche e obiettivi degli Stati uniti in Egitto.


Il Manifesto
Internazionale, pag.6
venerdì 14 settembre 2012






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