venerdì 26 ottobre 2012

Barclays


ECONOMIA

FINANZA · Rese note le conclusioni della Commissione parlamentare sullo scandalo Libor

Diamond non ha detto tutto
Anche la Bank 
of England nel 
mirino: «Va cambiata 
tutta la cultura 
di vigilanza inglese»



Giuseppe Acconcia

Diamond non ha detto tutto. Sono queste le prime conclusioni della Commissione parlamentare sullo scandalo Libor. L'ex amministratore delegato di Barclays si era dimesso lo scorso 3 luglio per le denunce di manipolazione dei tassi di cambio interbancari. In seguito allo scandalo Libor, la banca inglese aveva dovuto pagare una multa di 360 milioni di euro. La testimonianza di Diamond in parlamento è stata «parziale», si legge sul report di 122 pagine, reso noto ieri dalla Commissione. A presiederla è il deputato conservatore, Andrew Tyrie, che rincara: «Ci aspettavamo franchezza da parte dei testimoni ascoltati. Le prove addotte dal signor Diamond sono state inferiori alle attese del parlamento». Secondo il documento, Diamond non ha fatto luce completa nè sulle circostanze che hanno determinato la manipolazione del Libor nè sulle relazioni tra Barclays e autorità di vigilanza bancaria. Su queste accuse, non si sono fatte attendere le reazioni di Diamond. Dalla sua liquidazione dorata (153 milioni di euro) negli Stati uniti, Diamond ha detto: «Sono contrariato e in disaccordo con i contenuti resi noti dalla Commissione d'inchiesta». 
Ma i parlamentari inglesi vanno avanti. Hanno definito una «copertura» le illazioni apparse sulla stampa di pressioni della banca d'Inghilterra su Barclays per ridurre i tassi Libor. Sospetti mai chiariti erano nati dopo la rivelazione di una telefonata di Paul Tucker, vicegovernatore della Banca d’Inghilterra, nell’ottobre 2008 all’ex amministratore delegato della Barclays, Robert Diamond. Dopo la telefonata, Diamond aveva riferito di «figure del governo» preoccupate dei tassi interbancari di prestito ammessi da Barclays. E così, uno dei dirigenti della banca, Jerry Del Missier, dimessosi nel luglio scorso, aveva dato l’ordine di abbassare i tassi per ridurre le preoccupazioni sulla stabilità finanziaria della banca. 
Inoltre, la Commissione ha sottolineato il fallimento della Fsa nel controllare le manipolazioni del Libor. «Non è accettabile che nè la banca d'Inghilterra nè la Fsa si siano accorte delle manipolazioni dei tassi» - ha continuato Andrew Tyrie. 
La Commissione, presieduta da Tyrie, ha criticato duramente l'intera «cultura di vigilanza bancaria» britannica e la lentezza delle inchieste della Fsa. «Se la vigilanza, anzicchè raccogliere dati, si occupasse attentamente di rischio bancario, potrebbe ottenere un controllo più efficace. Questo potrebbe comportare un cambiamento della cultura di vigilanza» - ha aggiunto Tyrie. 
Mala nota della Commissione va oltre. Secondo i deputati, le pressioni che Mervyn King, governatore della banca d'Inghilterra, ha esercitato sui dirigenti di Barclays nel caso Libor rendono necessario lo stretto controllo anche della banca centrale di Threadneedle street. «Il coinvolgimento del governatore è difficile da giustificare» - si legge nel report della Commissione. Da parte sua, King ha negato di aver chiesto le dimissioni di Diamond. Ma, secondo la stampa inglese, il governatore della banca d'Inghilterra avrebbe parlato ai dirigenti di Barclays lo stesso giorno delle dimissioni del presidente, Marcus Agius. «Non importa se le pressioni siano venute dalla Fsa o dal governatore della banca centrale, l'azione definisce un potere arbitrario di licenziamento» - prosegue il documento. «L'Fsa non dovrebbe interferire nella composizione dei consigli di amministrazione in risposta alle notizie di stampa» - ha proseguito Tyrie. D’altra parte, il caso Libor ha portato alla ribalta l’efficacia delle autorità di vigilanza bancaria americana: dalla Commodity Futures Trading al Dipartimento dei servizi finanziari fino alla Security and Exchange Commission. Il coordinamento tra le autorità statali di vigilanza sembra rendere il sistema dei controlli bancari americani più efficace di quello europeo. Proprio, nei giorni scorsi, lo scandalo Libor si era allargato alle più grandi banche del mondo con l'intervento della magistratura americana. I giudici di Connecticut, Florida e New York hanno denunciato la formazione di un cartello di almeno 13 istituti di credito per tenere basso il tasso di cambio interbancario. Per questo, hanno inviato un mandato a comparire non solo a Barclays ma anche a colossi bancari quali Lloyds, Deutsche Bank, Royal bank of Scotland,Hsbc, JPMorgan, Citigroup e Ubs. Gli istituti di credito devono presentare ogni documento sulle variazioni del Libor. E ora, alla vigilanza inglese, non resta che correre ai ripari. Martin Wheatley, direttore dell’Fsa, aveva chiesto nei giorni scorsi una riforma del Libor che considerasse dati oggettivi per ridurre le possibilità di manipolazioni, di stabilire un comitato commerciale per il controllo dei tassi interbancari e di rafforzare i poteri di controllo delle autorità giudiziarie.

CAUSE MILIARDARIE
Moody’s e Standard&Poor’s a processo per i subprime

Moody's e Standard & Poor's dovranno difendersi dall'accusa di frode per aver assegnato «rating gonfiati» a titoli venduti da Morgan Stanley e garantiti dai mutui subprime, dopo che il giudice distrettuale di New York, Shira Scheindlin, ha respinto il ricorso delle due agenzie di rating di liquidare il caso, accettando così la richiesta degli investitori istituzionali, avviata nel 2008, di citarle in giudizio. I legali degli investitori, fra cui l'Abu Dhabi Commercial Bank, si sono detti «soddisfatti che il giudice dopo aver esaminato le prove ha riconosciuto il valore delle nostre accuse contro le agenzie di rating». Sarà dunque una giuria di un tribunale di Manhattan a stabilire se i rating assegnati da Moody's e S&P alle obbligazioni garantite da mutui subprime erano «inappropriati», traendo in inganno gli investitori. È bene ricordare che la quasi totalità dei titoli – in genere «prodotti derivati» garantiti da un «sottostante» – collegati ai mutui subprime venivano accreditati dalle due agenzie della «tripla A». In pratica, venivano indicati come un investimento sicuro al pari dei titoli di stato Usa o tedeschi. Solo a esplosione imminente o avvenuta furono «downgradati» in rapida successione, fino a diventare «junk», spazzatura. I mutui subprime erano quelli concessi a persone senza garanzie (lavoro, patrimonio, reddito) per acquistare comunque una casa.



Il Manifesto
Economia, pag.5
domenica 19 agosto 2012




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