mercoledì 29 febbraio 2012

martedì 28 febbraio 2012

La Repubblica. La primavera egiziana. Presentazione da Odradek, Roma

libri

Alle 18 da Odradek in via dei Banchi Vecchi 57 "La primavera egiziana e le rivoluzioni in Medio Oriente" di Giuseppe Acconcia. Partecipa Emanuele Giordana.

lunedì 27 febbraio 2012

La Repubblica. La Primavera egiziana. Presentazione Nocera Inferiore.


GIORNO&NOTTE

NOCERA INFERIORE Dalle 19.30 alla libreria Mondadori di Nocera Inferiore, corso Matteotti 32, si presenta il libro "La primavera egiziana" (e le Rivoluzioni in Medio Oriente), di Giuseppe Acconcia. Con l'autore Antonio Pecoraro e Salvatore De Napoli, video a cura di Massimo Croce.

domenica 26 febbraio 2012

Radio Vaticana. Chi salverà la Siria?


25/02/2012 16.10.01
Chi salverà la Siria?


“Facciamo appello al Vaticano perché può giocare un ruolo diplomatico importantissimo per una riconciliazione in Siria. Gode infatti ancora di autenticità sia da parte del governo siriano sia da parte delle varie fazioni dell’opposizione”. Questo l’auspicio espresso da P. Jihad Youssef, del monastero siriano di Mar Musa, che attualmente vive e studia a Roma. Ai nostri microfoni parla della paura dell’estremismo islamico che sta generando divisione tra i cristiani: “Se non sono i cristiani i promotori di una mediazione, chi se ne può fare carico? Bisogna promuovere la riconciliazione dal di dentro, noi possiamo farlo. Noi siamo una minoranza ma nella storia del Paese i cristiani hanno giocato sempre un ruolo intellettuale e politico importante, di qualità, non di quantità. Noi ora abbiamo mollato e questo è uno sbaglio. Il cristiano non può accettare che la sua libertà sia fondata sull’ingiustizia altrui”. Mentre si allunga la lista delle vittime della repressione operata dal regime e la Croce Rossa Internazionale tenta di riprendere l’evacuazione dei feriti (fra cui due giornalisti stranieri) e delle persone bisognose di aiuto nella città di Homs, affidiamo a Giuseppe Acconcia, giornalista e studioso delle rivoluzioni in Medio Oriente, l’analisi geopolitica della drammatica situazione in Siria. “Iniziate in periferia, le rivolte qui non hanno preso ancora il volto del movimento urbano tipico dell’Egitto, dello Yemen e della Libia. Questa è la più grande debolezza degli attivisti siriani, insieme alla loro frammentazione. A Damasco ed Aleppo ci sono manifestazioni ma sono confinate ad alcuni quartieri e non coinvolgono tutto il tessuto delle città”. Sulle indicazioni emerse dal vertice degli “Amici della Siria”, svoltosi a Tunisi con oltre una settantina di rappresentanti di organizzazioni e paesi, Acconcia precisa che più che l’assenza di Cina e Russia da questo tavolo di trattative, è rilevante il riallineamento turco sulle posizioni di Usa e Israele. “All’inizio la Turchia era molto diplomatica con il governo di Assad - ricorda Acconcia - ora il suo cambiamento di atteggiamento potrebbe privare l’Iran del principale asse tra i paesi arabi. Tutto ciò potrebbe destabilizzare l’intera regione”.
Antonella Palermo
Radio Vaticana
Al di là della notizia
sabato, 25 febbraio 2012

sabato 25 febbraio 2012

Il Mattino, martedì 21 febbraio 2012

Il libro
Acconcia reportage in Egitto su un anno di rivoluzione
Giuseppe Acconcia è un giovane giornalista originario di Roccapiemonte. Vive tra Cairo e Londra dopo aver soggiornato in Iran, Egitto e Siria. È laureato in Economia alla Bocconi e scrive per testate giornalistiche italiane e straniere di politica mediorientale. È autore del saggio «La primavera Egiziana» che verrà presentato giovedì alle 19,30 presso la libreria Mondadori di Nocera Inferiore. Introduzione di Massimo Cirri, conduttore di Caterpillar su Radio 2, e post fazione di Vincenzo Nigro, giornalista de La Repubblica. È un reportage sul campo della rivoluzione egiziana dal 2011 al 2012 e nasce dalla collaborazione radiofonica con Cirri. Malgrado le elezioni, quella egiziana è una rivoluzione in corso, con grande partecipazione di popolo. Durante la permanenza in Egitto l’autore ha crato contatti e seguito la vicenda anche quando è stato costretto a rimpatriare. «Il processo democratico in Egitto è lungo - ha precisato - il paese vive grandi contraddizioni. Le ultime elezioni, che hanno visto prevalere Fratelli Musulmani e Salafiti, hanno tradito le altre anime della rivoluzione».

Gianluca Santangelo

Il Mattino
martedì, 21 febbraio 2012
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Presentazione del saggio di Giuseppe Acconcia Infinito Edizioni
«La Primavera egiziana»

Dove
Nocera Inferiore, libreria Mondadori.
Quando
Giovedì alle ore 19,30




venerdì 24 febbraio 2012

Presentazione Libreria Mondadori, Nocera Inferiore

 
Infinito edizioni vi invita alla presentazione del nuovo libro

LA PRIMAVERA EGIZIANA
e le Rivoluzioni in Medio Oriente
(pag. 128, € 13.00)

Di Giuseppe Acconcia
Introduzione di Massimo Cirri
Postfazione di Vincenzo Nigro

giovedì 23 febbraio, ore 19,30
Presso la libreria Mondadori
Corso Matteotti 32 – Nocera Inferiore

Sarà presente l’Autore
con il prof. Ferruccio Iaccarino e Antonio Pecoraro
video a cura di Massimo Croce

Un viaggio dall’interno e all’interno a un anno dall’inizio
della Rivoluzione egiziana e delle sue radici.

“Giuseppe Acconcia ha aiutato qualche centinaio di migliaia di ascoltatori di Caterpillar, programma di Radio2, a capire la Rivoluzione egiziana, la Primavera araba e che tutto è cominciato in Iran con le rivolte studentesche del 2009. Adesso il racconto e l’analisi continuano in questo libro. Quindi con più spazio, connessioni, dettagli. E con quella profondità che manca alla comunicazione ostaggio della velocità”. (Massimo Cirri, Caterpillar-Radio2)

“Il grande sommovimento che sta rivolgendo il passato e preparando il futuro del mondo arabo è solo nelle fasi iniziali. Il cammino da percorrere è ancora lunghissimo. Né democrazia né stabilità sono alle viste, e i pericoli possono ancora essere grandissimi rispetto alla gioia di aver visto cadere dittature violente, opprimenti e cleptocratiche”. (Vincenzo Nigro, la Repubblica)

La genesi della Rivoluzione, la sua esplosione, le manifestazioni di piazza Tahrir, le violenze, le dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak, la presa del potere da parte del Consiglio supremo delle Forze armate, le elezioni parlamentari e presidenziali, le conseguenze immediate e per il futuro dell’Egitto e del Medio Oriente in questo libro scritto sul campo.


L’autore
Giuseppe Acconcia (Salerno, 1981), giornalista e ricercatore, si occupa di Iran e Medio Oriente. Laureato in Economia, dal 2005 ha vissuto tra Iran, Egitto e Siria collaborando con testate italiane (Il Manifesto, Il Riformista, Radio 2, RaiNews), inglesi (The Independent) ed egiziane (Al Ahram) Ha lavorato come insegnate di italiano per migranti e all'Università americana del Cairo. Si è occupato di cooperazione euromediterranea e ha pubblicato racconti, poesie e romanzi brevi.


Per informazioni, Infinito edizioni: 06/93162414
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918

giovedì 23 febbraio 2012

mercoledì 22 febbraio 2012

Libreria Odradek, Roma

 
Infinito edizioni vi invita alla presentazione in anteprima del nuovo libro

LA PRIMAVERA EGIZIANA
e le Rivoluzioni in Medio Oriente
(pag. 128, € 13.00)

Di Giuseppe Acconcia
Introduzione di Massimo Cirri
Postfazione di Vincenzo Nigro

Mercoledì 22 febbraio, ore 18,00
Presso la libreria Odradek
Via dei Banchi Vecchi 57 – Roma

Sarà presente l’Autore con il giornalista Emanuele Giordana
Musiche a cura di Alex Mendizabal

Un viaggio dall’interno e all’interno a un anno dall’inizio
della Rivoluzione egiziana e delle sue radici.

“Giuseppe Acconcia ha aiutato qualche centinaio di migliaia di ascoltatori di Caterpillar, programma di Radio2, a capire la Rivoluzione egiziana, la Primavera araba e che tutto è cominciato in Iran con le rivolte studentesche del 2009. Adesso il racconto e l’analisi continuano in questo libro. Quindi con più spazio, connessioni, dettagli. E con quella profondità che manca alla comunicazione ostaggio della velocità”. (Massimo Cirri, Caterpillar-Radio2)

“Il grande sommovimento che sta rivolgendo il passato e preparando il futuro del mondo arabo è solo nelle fasi iniziali. Il cammino da percorrere è ancora lunghissimo. Né democrazia né stabilità sono alle viste, e i pericoli possono ancora essere grandissimi rispetto alla gioia di aver visto cadere dittature violente, opprimenti e cleptocratiche”. (Vincenzo Nigro, la Repubblica)

La genesi della Rivoluzione, la sua esplosione, le manifestazioni di piazza Tahrir, le violenze, le dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak, la presa del potere da parte del Consiglio supremo delle Forze armate, le elezioni parlamentari e presidenziali, le conseguenze immediate e per il futuro dell’Egitto e del Medio Oriente in questo libro scritto sul campo.


L’autore
Giuseppe Acconcia (Salerno, 1981), giornalista e ricercatore, si occupa di Iran e Medio Oriente. Laureato in Economia, dal 2005 ha vissuto tra Iran, Egitto e Siria collaborando con testate italiane (Il Manifesto, Il Riformista, Radio 2, RaiNews), inglesi (The Independent) ed egiziane (Al Ahram) Ha lavorato come insegnate di italiano per migranti e all'Università americana del Cairo. Si è occupato di cooperazione euromediterranea e ha pubblicato racconti, poesie e romanzi brevi.


Per informazioni, Infinito edizioni: 06/93162414
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918

lunedì 20 febbraio 2012

Presentazione libreria Odradek

Mercoledì 22 febbraio ore 18,00
Presentazione del libro di Giuseppe Acconcia:
LA PRIMAVERA EGIZIANA
e le Rivoluzioni in Medio Oriente

Sarà presente l’Autore con il giornalista Emanuele Giordana

Un viaggio dall’interno e all’interno a un anno dall’inizio
della Rivoluzione egiziana e delle sue radici.

“Giuseppe Acconcia ha aiutato qualche centinaio di migliaia di ascoltatori di Caterpillar, programma di Radio2, a capire la Rivoluzione egiziana, la Primavera araba e che tutto è cominciato in Iran con le rivolte studentesche del 2009. Adesso il racconto e l’analisi continuano in questo libro. Quindi con più spazio, connessioni, dettagli. E con quella profondità che manca alla comunicazione ostaggio della velocità”. (Massimo Cirri, Caterpillar-Radio2)

“Il grande sommovimento che sta rivolgendo il passato e preparando il futuro del mondo arabo è solo nelle fasi iniziali. Il cammino da percorrere è ancora lunghissimo. Né democrazia né stabilità sono alle viste, e i pericoli possono ancora essere grandissimi rispetto alla gioia di aver visto cadere dittature violente, opprimenti e cleptocratiche”. (Vincenzo Nigro, la Repubblica)

La genesi della Rivoluzione, la sua esplosione, le manifestazioni di piazza Tahrir, le violenze, le dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak, la presa del potere da parte del Consiglio supremo delle Forze armate, le elezioni parlamentari e presidenziali, le conseguenze immediate e per il futuro dell’Egitto e del Medio Oriente in questo libro scritto sul campo.


L’autore
Giuseppe Acconcia (Salerno, 1981), giornalista e ricercatore, si occupa di Iran e Medio Oriente. Laureato in Economia, dal 2005 ha vissuto tra Iran, Egitto e Siria collaborando con testate italiane (Il Manifesto, Il Riformista, Radio 2, RaiNews), inglesi (The Independent) ed egiziane (Al Ahram.) Ha lavorato come insegnante di italiano per migranti e all'Università americana del Cairo. Si è occupato di cooperazione euromediterranea e ha pubblicato racconti, poesie e romanzi brevi.

domenica 19 febbraio 2012

La Primavera egiziana e le Rivoluzioni in Medio Oriente

http://www.infinitoedizioni.it/prodotto.php?tid=183


LA PRIMAVERA EGIZIANA

e le Rivoluzioni in Medio Oriente

Prefazione di Massimo Cirri. Postfazione di Vincenzo Nigro. PROMO-LANCIO € 11.75 ANZICHE' € 13.00

Autore: Giuseppe Acconcia
   
Prezzo: Euro 11.75






“Giuseppe Acconcia ha aiutato qualche centinaio di migliaia di ascoltatori di Caterpillar, programma di Radio2, a capire la Rivoluzione egiziana, la Primavera araba e che tutto è cominciato in Iran con le rivolte studentesche del 2009. Adesso il racconto e l’analisi continuano in questo libro. Quindi con più spazio, connessioni, dettagli. E con quella profondità che manca alla comunicazione ostaggio della velocità”. (Massimo Cirri)
Un viaggio dall’interno e all’interno della Rivoluzione egiziana del 2011-2012 e delle sue radici.
La genesi della Rivoluzione, la sua esplosione, le manifestazioni di piazza Tahrir, le violenze, le dimissioni del presidente egiziano Hosni Mubarak, la presa del potere da parte del Consiglio supremo delle Forze armate, le elezioni parlamentari e presidenziali, le conseguenze immediate e per il futuro dell’Egitto e del Medio Oriente in questo libro scritto sul campo.
“Il grande sommovimento che sta rivolgendo il passato e preparando il futuro del mondo arabo è solo nelle fasi iniziali. Il cammino da percorrere è ancora lunghissimo. Né democrazia né stabilità sono alle viste, e i pericoli possono ancora essere grandissimi rispetto alla gioia di aver visto cadere dittature violente, opprimenti e cleptocratiche”. (Vincenzo Nigro)
Collana: GRANDANGOLO
Titolo: LA PRIMAVERA EGIZIANA e le Rivoluzioni in Medio Oriente
Autore: Giuseppe Acconcia
Caratteristiche: Formato cm. 12x19, copertina a colori, rilegatura filo refe
Pagine: 157
Prezzo: euro 11.75
Isbn: 978-88-97016-31-1
Anno di pubblicazione: 2012


















sabato 18 febbraio 2012

Il piano israeliano di disimpegno unilaterale


Le gravi tensioni in Medio Oriente rendono incerta l’evoluzione del conflitto israelopalestinese.
Questa scheda ricostruisce la politica israeliana di disimpegno unilaterale, presenta l’attuale situazione nei territori occupati, riporta il quadro diplomatico internazionale e le posizioni palestinesi.
Il piano di Sharon
Il piano israeliano di disimpegno unilaterale, annunciato da Ariel Sharon il 18 dicembre del 2003 alla conferenza di Herziliya ed approvato dal Comitato centrale del Likud nel giugno del 2004, consiste nel ritiro delle forze militari israeliane di occupazione dalla Striscia di Gaza e da quattro insediamenti nel Nord della Cisgiordania.
Il piano presume l’assenza di un interlocutore credibile nella classe dirigente palestinese. Si afferma come atto unilaterale e definitivo, limitatamente alla Striscia di Gaza. Nessun accenno viene fatto, invece, a successivi ritiri dalla Cisgiordania. Il piano di disimpegno di Sharon si pone in contrasto con la tradizionale posizione della destra israeliana ostile a qualsiasi concessione per la nascita di uno stato palestinese indipendente. Il piano ha, invece, riscosso il consenso del partito laburista, sostenitore anche di successivi ritiri dalla Cisgiordania. Il 27 ottobre del 2004 la Knesset ha approvato con 67 voti a favore e 45 contrari il piano di disimpegno di Sharon.
Le dinamiche del ritiro ad agosto del 2005
Il ritiro dei militari e dei civili israeliani si è svolto in quattro fasi tra il 15 ed il 22 agosto del 2005. Ogni famiglia israeliana coinvolta nel ritiro ha ricevuto un compenso di 330.000 $ per un totale di 550milioni di $. Mentre i costi militari del ritiro sono stati pari a 450 milioni di $.
Gli insediamenti israeliani nella Striscia di Gaza, costruiti tra il 1979 ed 1993, occupavano 54 km2 sui 365 km2 dell’intera regione, vivevano, qui, 7000 coloni israeliani per una densità di 665 ab/km2. Invece, la densità di popolazione palestinese che vive nella Striscia di Gaza raggiunge i 25.700 ab/km2 salendo a 50.478 ab/km2 nei campi profughi.
I quattro insediamenti smantellati in Cisgiordania erano concentrati nella Samaria settentrionale nei dintorni di Jenin: Gonim, 170 abitanti, Kadim, 149 abitanti, Sa Nur, 83 abitanti, Hamesh, 198 abitanti, su una popolazione israeliana negli insediamenti in Cisgiordania di 246.000 abitanti.
Il controllo dei confini di Gaza
Le autorità israeliane hanno mantenuto il controllo dei confini di terra, dei cieli e delle coste della Striscia di Gaza. Nel novembre del 2005 è stato annunciato dal Ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz, l’accordo con l’Egitto per garantire la sicurezza del valico di frontiera di Rafah tra Egitto e Striscia di Gaza sotto la sorveglianza di una missione guidata dall’Unione europea. Mentre la dogana commerciale è stata collocata al valico di Shalom Kerem sotto controllo israeliano.
Non è stato predisposto un servizio di trasporto tra Gaza e la Cisgiordania, sebbene il piano di disimpegno faccia riferimento alla necessità di garantire la “continuità territoriale” al popolo palestinese.
La situazione degli insediamenti in Cisgiordania
Parallelamente al piano di disimpegno, Israele ha continuato l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Secondo la direzione delle statistiche israeliana, nel primo trimestre del 2005 la costruzione di insediamenti è aumentata dell’83%.
In Cisgiordania, si sono ormai consolidate due reti stradali separate una per i palestinesi l’altra per i coloni rendendo disagevoli gli spostamenti. In quest’area hanno subito un sensibile incremento i posti di blocco ed i check points.
A questo va aggiunto la costruzione della “barriera di sicurezza” che ha avuto inizio nel 2003 ed il cui percorso ha modificato sia i confini del 1967 che quelli previsti dagli accordi di Oslo. La “barriera di sicurezza” è stata dichiarata illegale nel luglio 2004 dalla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aja.
Secondo la Foundation for Middle East Peace, attraverso il sistema di strade e la barriera di sicurezza Israele si avvia ad annettere tra il 20 ed il 50 % della Cisgiordania concedendo ai palestinesi l’autonomia su quattro aree: Cisgirdania centro-nord (da Jenin a Ramallah), Cisgiordania sud (da Betlemme a Hebron), Gerico a cui aggiungere la Striscia di Gaza.
Inoltre, la “barriera di sicurezza” ha diviso Gerusalemme Est dalla Cisgiordania. In questo modo 200.500 palestinesi residenti a Gerusalemme Est sono stati isolati dal resto della Cisgiordania mentre 202.500 palestinesi residenti in periferia sono stati separati dal resto della città. L’espansione dell’insediamento di Male Adumim e la costruzione della barriera di sicurezza hanno di fatto diviso in due aree separate la stessa Cisgiordania.
La “convergenza” di Olmert
Quando il 10 novembre del 2005 il partito laburista guidato da Amir Peretz ha annunciato il ritiro dal governo di coalizione, Sharon ha reagito indicendo nuove elezioni ed annunciando la fondazione di un nuovo partito. Kadima, lett. “Avanti”, omposto da parte del Likud e parte dei Labur, tra cui il noto leader del partito Shimon Peres, è nato con l’obiettivo specifico di portare a termine il piano di disimpegno unilaterale.
Malgrado l’uscita di scena di Sharon, colpito da ictus nel dicembre 2005 e nel gennaio 2006, Kadima si è affermata alle elezioni politiche del marzo 2006 anche se in maniera meno larga del previsto.
Il Primo Ministro Ehud Olmert ha dichiarato di voler proseguire nel piano di disimpegno unilaterale previsto da Sharon ritirando le forze militari e smantellando gli insediamenti di alcune aree della Cisgiordania. In varie dichiarazioni, Olmert ha parlato di piano di “convergenza”: il ritiro di circa 70.000 coloni in aree non precisate della Cisgiordania ed una più generale razionalizzazione della presenza israeliana nei territori occupati. La vittoria di Hamas alle elezioni del Consiglio legislativo palestinese del gennaio 2006 e il successivo boicottaggio internazionale dell’Anp hanno favorito la conferma del metodo unilaterale nell’attuazione del piano di disimpegno.
La crisi economica nei territori occupati
La grave crisi economica ed occupazionale nei territori è stata aggravata dalla frammentazione territoriale e dal boicottaggio internazionale del governo Hamas. Il rapporto della Banca Mondiale del marzo 2006 sulla situazione economica nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania afferma che allo stato attuale di sospensione di trasferimenti di tasse ed aiuti e di restrizione di movimenti, il tasso di povertà ed il tasso di disoccupazione toccheranno rispettivamente il 78% ed il 48% nel 2008. In una nota del 9 maggio 2006, la stessa Banca Mondiale definisce queste previsioni ottimistiche.
Nonostante ciò, dal momento del ritiro, Israele ha tentato di dichiarare la Striscia di Gaza territorio “non occupato” e di declinare ogni responsabilità sulle disastrose condizioni economiche della popolazione.
Il quadro internazionale: la “road map”
Le reazioni internazionali al piano di disimpegno unilaterale sono state di generale approvazione. Da una parte il conflitto israelo-palestinese non ha rappresentato il centro dell’azione diplomatica americana in Medio Oriente. Dall’altra, l’Ue si è dimostrata poco efficace nell’assumere una posizione unitaria riguardo all’evolversi del conflitto.
Il quadro diplomatico in cui si muovono gli attori internazionali è la “road map”. La “road map”, presentata dal Quartetto di negoziatori formato da Ue, Usa, Onu e Russia nell’aprile del 2003, prevede, prima di tutto, una cessazione completa degli attacchi kamikaze palestinesi in territorio israeliano; in secondo luogo, il blocco nella costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania ed il ritiro delle forze israeliane dalle zone sotto l’amministrazione palestinese; infine, la riapertura del negoziato per la creazione di uno stato palestinese indipendente e la definizione dello status finale sulle questioni contese: Gerusalemme Est, i rifugiati e i prigionieri politici palestinesi, condizioni di accesso alle risorse idriche. Il Quartetto ha definito il piano di disimpegno unilaterale una “rara opportunità” considerandolo conforme alla “road map”. Di fatto, non sono stati censurati in modo sostanziale né l’unilateralismo dell’operazione né la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania.
La posizione di Stati Uniti ed Unione europea
Il presidente degli Stati Uniti George Bush ha appoggiato il piano di disimpegno unilaterale affermando la necessità del riconoscimento delle "nuove realtà sul campo", cioè gli insediamenti coloniali israeliani in Cisgiordania. Queste dichiarazioni sono in contrasto con le posizioni ufficiali degli Stati Uniti fino al 2002 che consideravano gli insediamenti all’interno del confine del ‘67 come “illegali” ed un “ostacolo” per la pace.
Durante l’ultima visita di Sharon a Washington del 2005, George Bush ha sostenuto l’obbligo per Israele di cessare la costruzione di nuovi insediamenti nei territori confermando, però, il riconoscimento di quelli già esistenti. L’attuale posizione americana è di sostegno alla “soluzione dei due stati”, come si evince dal discorso di George Bush del giugno 2002, e di conformità del piano israeliano di disimpegno unilaterale alla “road map”.
La posizione ufficiale dell’Unione europea è che “una soluzione finale può essere raggiunta solo con un negoziato tra Israele e palestinesi, che conduca a due stati sovrani e indipendenti sui confini del ‘67 che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza come previsto dalla “road map”. Questa posizione era stata già formulata analogamente nei Consigli dell’Ue di Venezia 1980, Berlino 1999 e Siviglia 2002.
Tuttavia, nessuna opposizione è stata manifestata dall’Ue al piano israeliano di disimpegno unilaterale ed il rapporto critico di alcuni diplomatici britannici presentato nel 2005 al Consiglio dei Ministri dell’Ue non ha comportato alcuna azione ufficiale in sede comunitaria.
Le posizioni palestinesi
La delegittimazione da parte del governo israeliano e la mancanza di unità della leadership palestinese non hanno consentito una risposta efficace al piano di disimpegno unilaterale. L’annuncio del piano di disimpegno unilaterale è venuto nel terzo anno di intifada – scoppiata il 28 settembre del 2000 a seguito della provocatoria passeggiata di Ariel Sharon nella spianata delle moschee – e a più di cinque anni dagli ultimi incontri ufficiali di Camp David, in una fase di totale assenza negoziale.
Nel dicembre 2001 il governo israeliano ha definito l’Autorità palestinese un’entità che “sostiene il terrore”. Arafat e tutta la classe dirigente di Fateh sono stati considerati come interlocutori non credibili ed è stato disconosciuto loro il ruolo di negoziatori previsto dagli accordi di Oslo procedendo al piano di disimpegno unilaterale.
Quando il piano di ritiro è stato annunciato, la classe dirigente palestinese appariva frammentata ed indebolita. Il fallimento degli accordi di Oslo, lo scoppio della seconda intifada, la cronica crisi economica ed occupazionale, l’incapacità di trasformarsi in classe dirigente per una politica di costruzione nazionale, il mancato controllo su gruppi terroristici ed apparati di sicurezza hanno indebolito la leadership di Fateh.
Tale è stata la divisione tra i due principali movimenti politici palestinesi, Fateh ed Hamas, che non c’è stata una risposta univoca al ritiro israeliano. Sia Fateh che Hamas si sono opposti al piano di disimpegno unilaterale. Non hanno messo in discussione il ritiro in sé ma il metodo con cui è stato attuato. I due gruppi contestano l’unilateralità delle decisioni assunte e l’espansione israeliana in Cisgiordania. Tuttavia, Hamas ha inizialmente salutato il ritiro israeliano come un successo della strategia della seconda intifada e degli attacchi kamikaze.
Gli ultimi sviluppi
La cattura del militare israeliano Shalit, dello scorso giugno, ad opera di tre gruppi armati, le brigate al-Qassam, il Comitato popolare per la Resistenza e l’Esercito islamico ha provocato una dura reazione militare israeliana. Sebbene non ci siano collegamenti provati con il governo di Hamas, l’esercito israeliano ha attaccato il sud ed il nord della Striscia di Gaza, ha demolito infrastrutture, parte della rete idrica ed energetica dei territori, ha bombardato la residenza del Primo ministro Haniye, del ministro dell’Interno ed ha preso in ostaggio la metà dei membri del governo.
Questo dimostra il controllo militare effettivo delle forze armate israeliane sulla Striscia di Gaza. La situazione è resa ancor più esplosiva dall’attacco portato al Libano dalle forze israeliane in seguito alla cattura di due militari da parte del movimento sciita libanese Hezbollah.

Giuseppe Acconcia
affarinternazionali.it
luglio 2006

venerdì 17 febbraio 2012

Servillo e “La trilogia della villeggiatura"
















I preparativi per l’imminente vacanza in campagna coinvolgono sin nelle più intime scelte di vita i personaggi delle commedie di Goldoni, adattate da Toni Servillo ne “La trilogia della villeggiatura” di scena fino al 6 gennaio al teatro Mercadante di Napoli.

In una casa di campagna, uomini e donne giocano a carte con i propri sentimenti. Senza adattarsi alla nuova vita che la vacanza potrebbe concedere, i nobili riproducono, in mollezze e pranzi pantagruelici, le civetterie e gli intrighi delle giornate cittadine. I protagonisti del racconto amano apparire, cucire e scucire vicende sentimentali impossibili, per disparità di censo, di età o di amore non corrisposto. La campagna goldoniana è la periferia della città, un luogo in cui lo svago si trasforma nelle difficoltà dell’esistenza. Questa ambientazione sentimentalista sembra più vicina alle nevrosi moderne del tempo libero rispetto alla decadenza metafisica delle vacanze pietroburghesi dei romanzi russi.

“L’ansia per la partenza, il tempo disteso delle conversazioni estive, a cui seguono i silenzi malinconici del rientro in città, hanno una scansione temporale, un movimento emotivo, un migrare sentimentale fatto di attese e delusioni, di speranze e conflitti, di ottimismo ed infelicità. - ammette Toni Servillo - I personaggi descrivono giorni animati da una ricerca ostinata della felicità, dall’incapacità di intravedere novità che sostituiscano le abitudini”.

I bravissimi attori, tra cui Andrea Renzi, Paolo Graziosi, Tommaso Ragno, Eva Cambiale, Anna Della Rosa, i costumi di Ortensia De Francesco e le scene di Carlo Sala creano un’atmosfera corrispondente alle intenzioni farsesche dell’adattamento unitario di Servillo. Tuttavia, la mancanza di una concreta ricerca linguistica e la dilatazione del tempo del discorso sottraggono ritmo, nella seconda parte, alla costruzione dell’intrigo e all’azione degli attori.      

Giuseppe Acconcia
La Sicilia 2008

  

giovedì 16 febbraio 2012

Il muro del Macrico

Gli ambientalisti danno battaglia per bloccare la mega speculazione in pieno centro
di Giuseppe Acconcia

Riparte la mobilitazione per difen­dere 1'ex caserma Macrico dalle speculazioni. Per i prossimi giorni il Comitato Macrico Verde ha organizzato iniziative per sollevare ancora 1'atten­zione sull'immensa area nel centro di Caserta. Il 30 aprile prossimo attivisti e cittadini tenteranno di disegnare mura­les su una piccola parte delle infinite mu­ra di recinzione. I1 21 maggio chiederan­no simbolicamente di aprire le porte della strutture. «Si tenta una mobilitazione continua per opporsi ad atti di prepoten­za diffusa, che bloccano ogni iniziativa per una Caserta diversa» racconta Fabio Basile del centro sociale ex Canapificio. Le controversie tra associazioni e istitu­zioni per la destinazione dell'area vanno avanti da anni.
Lo scorso marzo è stato firmato un protocollo d'intesa tra provincia di Ca­serta, facoltà di Scienze naturali della Se­conda Università di Napoli e Corpo forestale per la realizzazione di un Orto bota­nico nel casertano. È un primo passo an­cora aleatorio per la destinazione della vecchia area militare. Infatti, non si fa cenno all’ex Macrico. Lo scopo indiretto è di spingere il Comune a collocare pro­prio in quell’area l'orto botanico. Dietro il muro del Macrico si nascondono inte­ressi economici e politici per una delle aree potenzialmente edificabili più grandi della Campania. Un luogo surreale: 324.500 mq in pieno centro, nei pressi della Reggia di Caserta al termine di cor­so Trieste. Sconosciuto ai casertani.
Ricoperto di sterpaglie e radici ingo­vernate, si notano piccole costruzioni militari in muratura, alcune in metallo e lamiera. Un quarto dell'area è attual­mente edificata. Addirittura, quando la Macrico era ancora un’area militare, vari costruttori raccoglievano quote per rea­lizzare cooperative. La proprietà dell'a­rea è ora nelle mani dell'Istituto Diocesa­no per il Sostentamento del Clero. Purtroppo, il Comune non ha mai preso in considerazione serie rivendicazioni de­maniali. Nonostante il vescovo Nogaro abbia nel 2000 sostenuto e di fatto aperto e iniziative del comitato Macrico Verde, la Curia intende ottenere il maggior pro­fitto possibile dalla vendita dell'area. Si parla di almeno 40 milioni di euro più al­cuni edifici riservati.
Qui entrano in gioco interessi politici. Il Piano regolatore del 1987 destina le ex aree militari a zone pubbliche. Pertanto 1'ex Macrico sarebbe un luogo non edifi­cabile. Si ridimensionerebbe il suo valore a circa 10/12 milioni di euro. Il Comune durante la consiliatura Falco ha, invece, appoggiato iniziative per 1'edificabilità dell'area. Una miniera per tutte le imprese edili del casertano e per chi le sostie­ne. Tra i progetti presentati ha ricevuto il maggior credito lo studio dell'architetto Stefano Boeri, sostenuto anche dai mag­giori partiti di centro sinistra. Questo la­voro prevede la destinazione a parco pubblico di parte dell'ex Macrico e la co­struzione di un museo, di un albergo, del nuovo Municipio, di parcheggi, di un asse viario sotterraneo, di varie attrezzatu­re e abitazioni. Utilizzando capitali misti e coinvolgendo le imprese edilizie della provincia.
«Sulla carta il progetto Boeri - sostiene Maria Caiola, eletta nel 2002 nel consi­glio comunale di Caserta per la lista civi­ca Macrico Verde - prevede la destina­zione dell'80% dell'area a verde pubblico. In realtà si fa riferimento a edifici di sette piani e a costruzioni di dubbia de­stinazione. Pilastri fino al terzo piano. Una sorta di base per ulteriori costruzio­ni». II sospetto che si tratti di un'opera­zione speculativa è innegabile. Un esem­pio viene dalla zona sud orientale di Ca­serta. Per 1'ex vetreria Saint Gabain si prevedeva, infatti, un progetto simile. In questo momento la realizzazione vede impegnate imprese di edilizia privata in direzioni divergenti rispetto alle iniziati­ve presentate. Le organizzazioni no-pro­fit, Legambiente, Italia Nostra e tutte le associazioni che hanno formato nel 2001 il Comitato Macrico Verde sostengono, invece, la destinazione dell'intera area a parco urbano. Appoggiate da Verdi e Ri­fondazione Comunista.
Con l'intervento dell'Università di Napoli si pensa di dedicare 100mila mq per il già citato orto botanico. Di mantenere la struttura attuale dell'area con boschi e giardini per una delle province meno verdi d'Italia. Di prevedere il recupero degli edifici in muratura per servizi so­ciali e culturali. I lavori non sarebbero costosi ne lunghi visto lo stato dei luoghi. A questo scopo è stata proposta nel 2005 l'iniziativa simbolica di acquistare il ter­reno. Ogni cittadino avrebbe sostenuto il progetto donando 50 euro per mq. «Sono venuti a mancare i contributi di Italia Nostra - sostiene Sergio Tanzarella, pre­sidente del Comitato Macrico Verde -. Inoltre, non sono arrivati fondi comuni­tari come invece avevano promesso al­cuni europarlamentari dei Verdi. Infine, il presidente Bassolino, sebbene si sia impegnato per il parco, non ha agito di conseguenza». Nel contesto casertano, anche un solo mattone apre il varco ad interventi successivi, «si parla gia del coinvolgimento di Cristiana Coppola - prosegue -, presidente degli industriali campani, per la costruzione di un esteso campo da golf». La vicenda chiarisce l'importanza della mobilitazione contro conflitti di interesse che bloccano ogni progetto di crescita. Questo rafforza il principio di autodeterminazione dal basso per influire nelle decisioni su impor­tanti interventi urbanistici.
Il caso del quartiere Isola nel centro di Milano ne è un esempio. La «città della moda» sarà probabilmente realizzata de­turpando una potenziale area verde. Tut­tavia, i progetti hanno dovuto tenere conto delle richieste della Stecca degli ar­tigiani, centro sociale molto attivo in cit­tà, e di tutti i movimenti di opposizione al progetto. A Caserta potrebbe avvenire lo stesso. Anche se interessi di costruttori e di gruppi camorristici dovessero preva­lere, si dovrà tenere conto dello sforzo di movimenti e cittadini per una città più vivibile.

Giuseppe Acconcia
venerdì, 28 aprile 2006

mercoledì 15 febbraio 2012

Napoli, l'involontaria città del teatro


Tra il Real Albergo dei Poveri di Piazza Carlo III, la Sala del Lazzaretto in Via dei Tribunali, la Darsena nei pressi del porto e i teatri della città, prosegue a Napoli il Festival del teatro. Il dubbio che il vero spettacolo sia nei discorsi della gente colpisce chi cammina per le strade di questa città. Ognuno qui è costretto a tirar fuori la propria personalità, ma contemporaneamente ad esserne schiacciato. E’ così che Anna Maria Ortese, ne “Il mare non bagna Napoli”, descriveva l’accettazione di una realtà di morte da parte dei cittadini napoletani, privi di ogni minima volontà di riscatto. Roberto Andò, noto regista siciliano, ripercorrendo lo stile documentaristico della Ortese, ha tentato di vedere il riflesso della città della “monnezza” nella Napoli del dopo guerra. “Proprio come se nulla fosse avvenuto”, messo in scena sulla banchina della Darsena Acton con Anna Bonaiuto, Maria Nazionale, Vincenzo Pirotta e la partecipazione di quasi cento attori, ridefinisce gli spazi della città attraverso i frammentari comportamenti di personaggi di vari quartieri ed estrazioni, uniti soltanto dall’instabile adesione ai propri ruoli sociali. “Piu’ che oggetti, io installerò persone chiuse nelle loro stanze per una città ridotta a paesaggio.- dice Roberto Andò – Il paesaggio della città rinvia, da una parte, all’irredimibile stato del sud, dall’altra, segnala una difficoltà del teatro a narrare il crimine che abita Napoli”. L’emigrazione degli anni ’40 viene accompagnata dal pubblico in una lunga processione guidata da una piccola banda e da giaculatorie siciliane che uniscono il destino di Napoli alla sofferenza della Sicilia.

Ne “Cosa deve fare Napoli per rimanere in equilibrio sopra un uovo” di scena nella Sala del Lazzaretto in Via dei Tribunali per la regia del colombiano Enrique Vargas, gli spettatori vengono accompagnati tra i vicoli della città, i volti, le musiche, per una esperienza visiva, tattile e olfattiva. Il buio determina uno spaesamento colmato da richiami precisi alla quotidianità. La compagnia de Los Sentidos ha vissuto per alcuni mesi a Napoli, svolgendo vari laboratori. “Si potrebbe dire che le città hanno un carattere, una personalità, che permette loro di essere coprotagoniste della nostra stessa vita - sostiene Enrique Vargas -. Ci sono momenti e spazi della nostra vita in cui percepiamo che la città ci paralizza, non sostiene la nostra motivazione, non ci stimola. Ci sono dei momenti in cui sentiamo che la città incoraggia la nostra relazione con il mondo, con gli altri, con noi stessi”. “Una delle cose che ci ha piu’ impressionato di Napoli – continua Vargas - è stato scoprire come la città abbia convertito il poeta Virgilio nel suo mago. Il mito del Castel dell’Ovo racconta che il Castello si sostiene su un uovo che Virgilio collocò nelle sue fondamenta. Se l’uovo si rompe non solo il Castello crolla, ma con esso tutta la città”.
Con “Don Giovanni o sia Il convitato di pietra” di Giovanni Bertati, andato in scena al  Teatro Instabile, in uno spazio piccolo ma incantevole e con “Viaggio, naufragio e nozze di Ferdinando principe di Napoli” di Carlo Presotto, andato in scena nell’immenso edificio del Real Albergo dei Poveri, riaperto al pubblico proprio in occasione del Festival del Teatro sono tornate protagoniste le guarattelle e l’arte dei burattinai. Nel primo caso, uno spettacolo di sole donne ha riproposto la vicenda di Don Giovanni, avvicinando i pupi al canto d’opera, nel secondo, la storia di Ferdinando, naufragato di ritorno dalla Tunisia, ha fatto rivivere la magia degli spettacoli di marionette itineranti.
Tuttavia, nonostante il merito di aver aperto bellissimi luoghi della città, sono finora mancati al Festival del teatro di Napoli i principali registi italiani legati per motivi diversi a questa città quali: Martone, Latella e Del Bono. Non solo, è mancato un coinvolgimento dal basso delle mille realtà teatrali che nascono in ogni quartiere e che spesso sono ispirate dai temi dell’esclusione sociale e della legalità. Nei pressi dell’Auditorium della Rai, ho incontrato Giovanni Meola, impegnato nei suoi progetti di teatro e legalità nelle scuole della periferia di Napoli, dopo la messa in scena dei suoi ultimi lavori “L’infame” e “Il sulfamidico”. “Il mio percorso  nasce dal fatto di essere all'interno di un mondo che propone ogni giorno mille storie violente, tenere o paradossali, storie che riguardano tutti per il fatto stesso di vivere qui – dice Giovanni Meola -. Ad un certo punto è come se sentissi che una data storia volesse essere raccontata, così come certi personaggi esemplari. E io non faccio altro che cercare di tradurre in dato teatrale l’insieme di storie e personaggi che si formano attraverso l’osservazione del microcosmo che mi circonda. Partendo da fatti di cronaca ricostruisco la realtà teatrale”.

Giuseppe Acconcia
La Sicilia
domenica, 15 giugno 2008

lunedì 13 febbraio 2012

EGITTO, ZUBAIDA: “FUORI DAL GHETTO DEL NAZIONALISMO”


"Le nuove generazioni proclamano valori universali di giustizia sociale, democrazia e anti-corruzione. L'idea di inviolabilità del regime è sparita. Da qui non si torna indietro, continuerà l'attivismo politico di cittadinanza", spiega lo stimato storico ad un anno dalle dimissioni di Mubarak

INTERVISTA DI GIUSEPPE ACCONCIA*

Il Cairo, 11 febbraio 2012, Nena News «Le rivolte hanno segnato il ritorno della politica in Medio Oriente» – assicura al manifesto Sami Zubaida, storico dell’università di Birkbeck, ad un anno dalle dimissioni di Hosni Mubarak. «I colpi di stato nazionalisti di Gamal Abdel Nasser in Egitto e del Ba’ath in Siria hanno incluso le ideologie politiche all’interno del partito unico. E così le rivolte di quest’anno hanno bilanciato la costante soppressione dei movimenti urbani nel mondo arabo – aggiunge Zubaida che insegna anche all’università di Londra -. Le nuove generazioni sono uscite dal ghetto del nazionalismo, proclamando valori universali di giustizia sociale, democrazia e anti-corruzione. E così il muro è crollato. L’idea di inviolabilità del regime è sparita. Da qui non si torna indietro, continuerà l’attivismo politico di cittadinanza».
Come spiega allora l’inconsistenza delle forze politiche secolari alle elezioni parlamentari degli ultimi mesi? «Chi ha fatto la rivoluzione non ha potere elettorale nè connessioni politiche. I partiti socialisti e liberali erano implicati nei regimi nazionalisti. Anche il Partito comunista iraqeno aveva accettato di far parte di una coalizione con il Ba’ath di Saddam Hussein. Così i comunisti persero credibilità. E il regime ha massacrato i principali esponenti del partito». Secondo l’autore de Islam, il popolo e lo stato: idee politiche e movimenti (1993), altra grave colpa delle forze secolari è di essere implicate nelle politiche di liberalizzazione economica degli ultimi decenni. «Ma il colpo di grazia è venuto, da un lato, dalla rivoluzione iraniana, che ha strappato il mantello della giustizia sociale alla sinistra, e, dall’altro, dal crollo dell’Unione sovietica».
Tuttavia, almeno dal febbraio 2011, tutti i movimenti politici hanno goduto di una certa libertà in campagna elettorale. «I vecchi partiti di sinistra sono arrivati a queste rivolte come forze completamente irrilevanti. L’esercito ha concesso ai giovani libertà di assembramento e di parola, ma non di organizzazione al movimento operaio», prosegue Zubaida. In un certo senso, il Consiglio supremo delle forze armate (Scaf) in Egitto ha bloccato la spinta rivoluzionaria proponendosi come garante di stabilità e sicurezza. «Lo Sscaf vuole una “soluzione definitiva”, il controllo dell’attività politica e parlamentare. Inoltre, ha architettato coflitti settari per screditare i movimenti. In un primo tempo, i Fratelli musulmani hanno tentato debolmente di resistere all’esercito. Ma hanno rinunciato per governare con un’ampia maggioranza. Sono arrivati così ad un accordo tacito con i militari. Il risultato: i rivoluzionari si trovano a combattere non solo contro l’esercito ma anche contro la Fratellanza».
In realtà, nonostante il loro partito,”Libertà e giustizia”, abbia vinto le elezioni, la Fratellanza appare divisa al suo interno. «I Fratelli musulmani sono un movimento gerontocratico e internamente anti-democratico, di fronte ad un grave conflitto generazionale. I moralisti, vecchia maniera, convivono con i businessman del Golfo. Esiste poi una corrente impegnata in politiche sociali, per riforme sanitarie e contro la disoccupazione, ma convive con il liberismo della vecchia nomenclatura. Sembra quasi che dopo il successo elettorale, la loro prima richiesta sia stata di arrestare Adel Imam», conclude con ironia Zubaida, riferendosi alla vicenda giudiziaria del popolare attore comico egiziano, famoso per le battute blasfeme dei suoi film, condannato a tre mesi di reclusione per «insulti all’Islam». In questo clima, il ritorno al Corano dei salafiti potrebbe avere una presa senza precedenti. «La legge islamica che chiedono i salafiti non è una versione riformata, ma l’interpretazione storica della legge coranica; sono per la soppressione dell’eresia e dell’immoralità. Quello che però più segna il loro discorso politico è l’ostilità verso i cristiani», conclude l’autore de Dietro l’Islam: per una nuova comprensione del Medio Oriente (2011).
In questi giorni, gli egiziani stanno votando anche per il senato e presto eleggeranno il nuovo presidente della repubblica. «Un processo elettorale, che non garantisce libertà di associazione e la costituzione di partiti politici rappresentativi dei movimenti secolari, può essere addirittura rischioso. In Iraq, elezioni frettolose e il regime liberale hanno esacerbato il settarismo. Il sistema elettorale ha favorito poi meccanismi di controllo delle risorse, causando corruzione e partitocrazia».
D’altra parte, in Siria, il movimento iniziato quasi un anno fa, nella regione rurale di Daraa, sta dando filo da torcere al regime. «La transizione in Siria è davvero lontana. Solo in parte le manifestazioni hanno il carattere di movimenti urbani, come è stato in Egitto. Tanto che Damasco è ancora calma e i manifestanti gridano “Aleppo dove sei”?». Crede che il Ba’ath di Assad sia ancora il solo garante che possa evitare una deriva settaria in Siria? «In realtà, il movimento siriano è esplicitamente non settario, anzi la lealtà tra cristiani, alawiti e musulmani è il vero segno delle proteste. Mentre la dura repressione di Assad non sorprende. All’inizio delle rivolte, ha concesso alle donne con niqab di insegnare nelle scuole. Ora, sta bombardando Homs, come aveva fatto il padre Hafez con la città di Hama nel 1982».
Tuttavia, la vera brutta notizia per il regime siriano sembra venire da nuove pressioni internazionali. «La Turchia, riallineandosi con Stati uniti e Arabia saudita in merito alla questione siriana, potrebbe privare l’Iran del suo principale asset nei paesi arabi».
In questo scenario, l’ultimo pericolo per un’estensione delle tensioni in Medio Oriente sembrano le scintille dello stretto di Hormuz tra Stati uniti ed Iran, dove si avvicinano le elezioni parlamentari. “L’Iran vive in uno spazio pubblico ben distinto. La capacità repressiva del regime è enorme. Certo, il nemico numero uno per gli Stati uniti ormai sono gli sciiti, non più gli islamisti sunniti», conclude. Nena News
*Giornalista e ricercatore. Questa intervista e’ stata pubblicata l’11 febbraio 2012 da quotidiano Il Manifesto
http://nena-news.globalist.it/?p=17013

sabato 11 febbraio 2012

«Fuori dal ghetto del nazionalismo»


L'EGITTO UN ANNO DOPO  ·  Intervista al manifesto dello storico e politologo Sami Zubaida

«Fuori dal ghetto del nazionalismo»

L’11 febbraio 2011, dopo un mese di mobilitazione e rivolta simboleggiate dalla piazza Tahrir, il decotto «faraone» Mubarak fu costretto a dimettersi: cosa è cambiato?

“Le rivolte hanno segnato il ritorno della politica in Medio Oriente” - assicura al manifesto Sami  Zubaida, storico dell’Università di Birkbeck, ad un anno dalle dimissioni di Hosni Mubarak. “I colpi di stato nazionalisti di Gamal Abdel Nasser in Egitto e del Ba’ath in Siria hanno incluso le ideologie politiche all’interno del partito unico. E così le rivolte di quest’anno hanno bilanciato la costante soppressione dei movimenti urbani nel mondo arabo” - aggiunge il politologo dell’Università di Londra. “Le nuove generazioni sono uscite dal ghetto del nazionalismo, proclamando valori universali di giustizia sociale, democrazia e anti-corruzione. E così il muro è crollato. L’idea di inviolabilità del regime è sparita. Da qui non si torna indietro, continuerà l’attivismo politico di cittadinanza”, ammette Zubaida.
Come spiega allora l’inconsistenza delle forze politiche secolari alle elezioni parlamentari degli ultimi mesi? “Chi ha fatto la Rivoluzione non ha potere elettorale nè connessioni politiche. I partiti socialisti e liberali erano implicati nei regimi nazionalisti. Anche il Partito comunista iraqeno aveva accettato di far parte di una coalizione con il Ba’ath di Saddam Hussein. Così i comunisti persero credibilità. E il regime ha massacrato i principali esponenti del partito”. Secondo l’autore de Islam, il popolo e lo stato: idee politiche e movimenti (1993), altra grave colpa delle forze secolari è di essere implicate nelle politiche di liberalizzazione economica degli ultimi decenni. “Ma il colpo di grazia è venuto, da un lato, dalla Rivoluzione iraniana, che ha strappato il mantello della giustizia sociale alla sinistra, e, dall’altro, dal crollo dell’Unione Sovietica”.
Tuttavia, almeno dal febbraio 2011, tutti i movimenti politici hanno goduto di una certa libertà in campagna elettorale. “I vecchi partiti di sinistra sono arrivati a queste rivolte come forze completamente irrilevanti. L’esercito ha concesso ai giovani libertà di assembramento e di parola, ma non di organizzazione del movimento operaio”, prosegue Zubaida nell’intervista al manifesto. In un certo senso, il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) in Egitto ha bloccato la spinta rivoluzionaria proponendosi come garante di stabilità e sicurezza. “Lo SCAF vuole una ‘soluzione definitiva’, il controllo dell’attività politica e parlamentare. Inoltre, ha architettato coflitti settari per screditare i movimenti. In un primo tempo, i Fratelli musulmani hanno tentato debolmente di resistere all’esercito. Ma hanno rinunciato per governare con un’ampia maggioranza. Sono arrivati così ad un accordo tacito con i militari. Il risultato: i rivoluzionari si trovano a combattere non solo contro l’esercito ma anche contro la Fratellanza”.
In realtà, nonostante Libertà e giustizia abbia vinto le elezioni, appare divisa al suo interno. “I Fratelli musulmani sono un movimento gerontocratico e internamente anti-democratico, di fronte ad un grave conflitto generazionale. I moralisti, vecchia maniera, convivono con i businessman del Golfo. Esiste poi una corrente impegnata in politiche sociali, per riforme sanitarie e contro la disoccupazione, ma convive con il liberismo della vecchia nomenclatura. Sembra quasi che dopo il successo elettorale, la loro prima richiesta sia stata di arrestare Adel Imam”, conclude con ironia Zubaida. Il docente fa qui riferimento alla vicenda giudiziaria del popolare attore comico egiziano, famoso per le battute blasfeme dei suoi film, condannato a tre mesi di reclusione per “insulti all’Islam”. In questo clima, il ritorno al Corano dei salafiti potrebbe avere una presa senza precedenti. “La legge islamica che chiedono i salafiti non è una versione riformata, ma l’interpretazione storica della legge coranica; sono per la soppressione dell’eresia e dell’immoralità. Quello che però più segna il loro discorso politico è l’ostilità verso i cristiani”, conclude l’autore de Dietro l’Islam: per una nuova comprensione del Medio Oriente (2011).
In questi giorni, gli egiziani stanno votando anche per il Senato e presto eleggeranno il nuovo presidente della Repubblica. “Un processo elettorale, che non garantisce libertà di associazione e la costituzione di partiti politici rappresentativi dei movimenti secolari, può essere addirittura rischioso. In Iraq, elezioni frettolose e il regime liberale hanno esacerbato il settarismo. Il sistema elettorale ha favorito poi meccanismi di controllo delle risorse, causando corruzione e partitocrazia”, considera Zubaida.
D’altra parte, in Siria, il movimento iniziato quasi un anno fa, nella regione rurale di Daraa, sta dando filo da torcere al regime. “La transizione in Siria è davvero lontana. Solo in parte le manifestazioni hanno il carattere di movimenti urbani, come è stato in Egitto. Tanto che Damasco è ancora calma e i manifestanti gridano Aleppo dove sei?” Secondo Zubaida, il Ba’ath di Bashar al-Assad è ancora il solo garante che possa evitare una deriva settaria in Siria? “In realtà, il movimento siriano è esplicitamente non settario, anzi la lealtà tra cristiani, alawiti e musulmani è il vero segno delle proteste. Mentre la dura repressione di al-Assad non sorprende. All’inizio delle rivolte, ha concesso alle donne con niqab di insegnare nelle scuole. Ora, sta bombardando Homs, come aveva fatto il padre Hafez con la città di Hama nel 1982”. Tuttavia, la vera brutta notizia per il regime siriano sembra venire da nuove pressioni internazionali. “La Turchia, riallineandosi con Stati Uniti e Arabia Saudita in merito alla questione siriana, potrebbe privare l’Iran del principale asset nei paesi arabi”. In questo scenario, l’ultimo pericolo per un’estensione delle tensioni in Medio Oriente sembrano le scintille dello Stretto di Hormuz tra Stati Uniti ed Iran, dove si avvicinano le elezioni parlamentari. “L’Iran vive in uno spazio pubblico ben distinto. La capacità repressiva del regime è enorme. Certo, il nemico numero uno per gli Stati Uniti ormai sono gli sciiti, non più gli islamisti sunniti”, conclude il professore.   
Giuseppe Acconcia, ringraziamenti ad Antonio De Martin
Il Manifesto
INTERNAZIONALE, pagina 7
Sabato, 11 febbraio 2012