venerdì 28 ottobre 2011

La doppia verità siriana: tra primavere arabe e propaganda di regime

Le rivolte in Siria toccano ormai l’intero paese. Il regime ha risposto con una dura repressione che, secondo le stime degli attivisti, da metà marzo ha causato più di 1.300 morti. L’immagine delle migliaia di piazza Al-Aassi a Hama ha evocato le rivolte egiziane. E così anche in Siria, i carri armati dell’esercito controllano le vie di accesso delle principali città. Tuttavia, nonostante rare defezioni, le forze armate sono con il presidente Bashar al-Assad e questo frena non poco i
movimenti. Solo la crisi economica e l’organizzazione dell’opposizione potrebbero costringere al- Assad alle dimissioni. D’altra parte, versioni contrastanti sull’uso della violenza, sul numero di profughi che hanno oltrepassato i confini (secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu, sono stati 12.000 i profughi siriani che hanno raggiunto il sud della Turchia in seguito all’intervento
dell’esercito nella città di Jisr al-Shogur a partire dal 13 giugno scorso) e sui militari morti, tra
movimenti di opposizione e stampa filogovernativa, complicano un’univoca lettura della crisi.
L’economia siriana è sull’orlo del collasso. Finché la lealtà ad al-Assad della borghesia e dei
commercianti di Damasco e Aleppo sarà mantenuta, il regime sembra al sicuro. Ma poiché le
rivolte in Siria stanno danneggiando duramente il commercio, il settore manifatturiero e il turismo, crescono le probabilità che la classe media si unisca ai poveri di Daraa e Homs che hanno dato il via alle manifestazioni. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto la crescita siriana dal 5,5% al 3% nel 2011, mentre la Banca centrale di Damasco rischia di fronteggiare una grave diminuzione nelle riserve monetarie. E come se non bastasse si sono aggiunte le sanzioni dell’Ue alla classe dirigente del partito Baath di al-Assad e alle banche siriane. Mentre gli Stati Uniti potrebbero intervenire con sanzioni mirate ai settori petrolifero e del gas. Le tensioni con Francia e Stati Uniti sono ancora più forti in seguito agli assalti di attivisti pro Assad alle ambasciate dei due paesi a Damasco.
D’altra parte, l’opposizione è ancora divisa e frammentata. Socialisti, comunisti, partiti curdi, Fratelli musulmani, blogger, esponenti della società civile tentano di definire un programma comune. Si sono riuniti a Mosca, Ankara, Londra e rifiutano il dialogo con il regime. Avevano provato ad organizzarsi nel 2000, quando al-Assad, salito al potere dopo la morte del padre, aprì una breve stagione di riforme politiche. E così nel 2005, i gruppi di opposizione presentarono la Dichiarazione di Damasco, nella quale si chiedeva la cancellazione della legge d’emergenza in vigore dal 1963, il rilascio dei prigionieri politici, il ritorno degli esiliati e diritti per la minoranza curda. Nonostante ciò, I gruppi di opposizione siriana sono stati meno incisivi e determinati dei movimenti egiziani nati tra il 2005 e il 2008.
Il partito Baath ha sempre usato il tema del mantenimento dell’unità nazionale per garantire la
laicità dello stato contro le rivendicazioni dell’islamismo politico. E così i cristiani siriani non hanno sin ora partecipato alle manifestazioni e temono l’ascesa di partiti di emanazione dei Fratelli musulmani. D’altra parte, si rafforzano le spinte indipendentiste dei curdi (che rappresentano il 5% della popolazione e vivono nel Nord-Est del paese) e delle tribù beduine che sono state coinvolte nelle manifestazioni del 10 giugno scorso (le 16 tribù principali costituiscono l’11% della popolazione siriana). Mentre bande di criminali e attivisti pro Assad percorrono le strade siriane impaurendo con furti e saccheggi la popolazione. Ma il timore di molti è che la caduta di Al-Assad possa riaccendere il conflitto israelo-palestinese e determinare una dura reazione di Teheran. Per questo i presidenti russo, Dmitrij Medvedev, e turco, Recep Erdoğan, e persino i leader cinesi spingono il presidente siriano a riforme concrete, ma non mettono in discussione la tenuta del regime. Anche il movimento sciita libanese Hezbollah e il governo iraniano continuano a sostenere il presidente siriano. La partita è nelle mani di al-Assad che dovrà decidere se aprire una fase di riforme che limiti l’azione di repressione dell’esercito per mantenere in vita il regime oppure continuare con un uso eccessivo della violenza che destabilizzi definitivamente il paese.

Giuseppe Acconcia
Ispi, 2011

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