lunedì 10 ottobre 2011

IRAN, ASPETTANDO LE SANZIONI

Se in pochi giorni l’Iran non decidesse di sospendere l’attività di arricchimento dell’uranio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe inasprire le sanzioni previste dalla Risoluzione 1737 del dicembre scorso. Le sanzioni, finora approvate, prevedono il bando all’offerta di tecnologie e materiali nucleari ed il congelamento dei conti bancari di società iraniane ed individui coinvolti nel programma nucleare.
L’avventurismo della politica economica di Ahmadinejad sta indebolendo l’economia iraniana, completamente dipendente dall’andamento del prezzo del petrolio. Il piano economico quinquennale (2005-2009), approvato dal precedente governo del riformista Khatami, aveva stabilito una graduale diminuzione del finanziamento della spesa pubblica con i ricavi dell’esportazione del petrolio. Inoltre, aveva disposto un progressivo aumento dei prezzi della benzina ed un abbassamento dei sussidi alla vendita del greggio. Nonostante ciò, la manovra finanziaria 2006-2007 del governo Ahmadinejad ha richiesto un trasferimento straordinario dei ricavi delle esportazioni petrolifere alle politiche sociali di 40 miliardi di dollari rispetto ai 15 previsti. Tuttavia, il 21 gennaio 2007, quando il Parlamento iraniano ha discusso la legge finanziaria 2007-2008, Ahmadinejad ha dovuto ridimensionare il suo piano di finanziamento delle politiche sociali. Infatti, il governo iraniano ha rivisto al ribasso le stime del prezzo del petrolio per il 2007 da 44 $/b a 33 $/b. Come se ciò non bastasse, nonostante il fabbisogno petrolifero iraniano sia andato crescendo e siano enormemente aumentate le importazioni dall’estero di prodotti petroliferi raffinati, il Parlamento ha approvato il congelamento del prezzo della benzina a 7 centesimi di euro al litro. Il prezzo più basso di tutto il Medio Oriente. Queste decisioni mirano ad attuare una politica economica di controllo dell’inflazione. “Il governo non agisce significativamente in relazione alle politiche monetarie e fiscali. L’obiettivo è di controllare l’inflazione anche se questo comporta dei tassi di crescita economica più bassi. - ha dichiarato l’economista Sayyd Laylaz all’International Crisis Group - L’obiettivo del governo è di ridimensionare le importazioni e controllare i prezzi di oggetti quali cemento, metalli, prodotti di consumo e tasse aeree”.
Secondo la Banca Centrale iraniana, nel primo semestre del 2006 il tasso di inflazione è all’11%. L’inflazione percepita è anche più alta sia per le agevolazioni di cui godono i mercanti del bazaar che per la mole di affari nelle mani del mercato nero, circa il 20% del Pil. Inoltre, il tasso di disoccupazione ufficiale è al 12%. Tuttavia, in questa cifra la disoccupazione giovanile spesso non è inclusa, in un paese dove il 70% della popolazione ha meno di 30 anni. Il presidente Khatami, dopo lo stato di semirecessione del 1999, causato dall’abbassamento del prezzo del petrolio, allora a 12$/b, aveva tentato di avviare alcune riforme: la privatizzazione di piccole banche pubbliche, l’apertura di zone di libero scambio, l’approvazione della legge “per l’attrazione e la protezione degli investimenti stranieri” e la creazione del Fondo per la stabilizzazione del petrolio per prevenire crisi economiche dovute all’andamento del prezzo del greggio. Queste iniziative non hanno, però, intaccato gli interessi dei principali leader religiosi che attraverso le Fondazioni, aziende ufficialmente no-profit dagli utili detassati, continuano a controllare la quasi totalità del sistema produttivo iraniano.
Oggi, per queste gravi cause strutturali e per le politiche avventuriste del governo Ahmadinejad, ci sono molti segnali di una possibile crisi economica in Iran. E questo spiegherebbe, secondo alcuni, la necessità della leadership religiosa di puntare sull’autonomia energetica tramite il ricorso al nucleare. Nel 2006 economisti, esponenti della società civile e riformisti hanno firmato una lettera indirizzata al Parlamento in cui denunciavano le “politiche inflazionistiche del governo”. 50 parlamentari, tra cui anche conservatori, hanno chiesto, poi, le dimissioni di vari ministri e un cambiamento radicale nella politica economica di Ahmadinejad. “Il governo iraniano anzicchè investire per l’innovazione degli impianti produttivi- sostiene il prof. Roger Stern in un articolo apparso sull’Herald Tribune- conduce al collasso il suo settore petrolifero facendo confluire i ricavi nell’assistenzialismo di stato. Ci sono molti segnali di una possibile crisi petrolifera in Iran”.
In questo contesto sanzioni economiche incisive potrebbero destabilizzare l’economia iraniana. Secondo un rapporto presentato nel settembre del 2006 dalla Commissione per gli affari esteri e la difesa del Parlamento iraniano, reso noto nel gennaio scorso dal quotidiano francese “Le monde”, “l’aggravarsi delle condizioni economiche potrebbe causare movimenti sociali che potrebbero condurre al deteriorarsi e ad un affievolimento della stabilità interna”. Secondo questa Commissione, l’effetto combinato del congelamento delle riserve straniere, dell’imposizione di un embargo sulle importazioni di petrolio grezzo e di una interdizione dell’esportazione di prodotti petroliferi raffinati verso l’Iran provocherebbe conseguenze sociali ed economiche negative per il paese.
In ogni caso, l’efficacia delle sanzioni economiche all’Iran dipende dalle adesioni di Russia, India, Giappone ed Unione europea. Infatti, gli Stati Uniti sin dal 1996 hanno imposto sanzioni ad aziende che investano o commercino per un valore superiore ai 20 milioni di dollari con l’Iran. Se anche i paesi nominati sopra aderiranno a politiche economiche sanzionatorie incisive, decise dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Repubblica Islamica d’Iran vedrebbe seriamente minate le già fragili basi della sua stabilità economica e sociale.

Giuseppe Acconcia
Lettera 22

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