martedì 3 maggio 2011

I Figli dell'Uranio di Peter Greenaway

I Figli dell’Uranio”, scritto da Peter Greenaway e messo in scena dalla olandese Saskia Boddeke, è un esempio di contaminazione di performing art, visual art e le musiche innovative di Andrea Liberovici. Il lavoro è stato presentato nel 2005 a Genova per l’anno mondiale della Fisica, a 100 anni dalla pubblicazione della “Teoria della Relatività” di Einstein e a 50 anni dalle stragi di Hiroshima.
Peter Greenaway, scrittore e documentarista, regista tra l’altro de “I misteri del giardino di Compton House ” (1982), “Lo Zoo di Venere” (1985) e “I racconti del cuscino” (1996), ha sempre subito il fascino della pittura cinquecentesca e seicentesca trasponendola in immagini cinematografiche. Negli ultimi anni si è dedicato al superamento del film attraverso la commistione di immagini e attori in movimento collocati in un teatro disgregato ma connesso.

I “Figli dell’Uranio” è ispirato al testo “Voli fatali”, scritto nel 2005 da Greenaway. Si tratta di 92 storie di personaggi immaginari colpiti da mutazioni fisiche e linguistiche. L’azione è frammentata in otto scene sincroniche.
Isaac Newton gioca con la mela del peccato. L’Uranio, 92° elemento, tormenta chi l’ha scoperto. Eva si muove da un luogo all’altro seducendo chi vi abita. Joseph Smith, colui che portò alla luce l’uranio, si tormenta nel suo letto. Marie Curie, rinchiusa in una stanza lugubre, è pallida perché colpita da radiazioni. Albert Einstein, in uno studio cupo ricoperto da formule che lo opprimono, delira consapevole che non avrebbe potuto negare la conoscenza scientifica. Robert Oppenheimer, colui che confezionò la prima bomba atomica, solo con i suoi rimorsi. Nikita Kruscev, folle vicino alla morte, critica la promessa di una società di uguaglianza malata di corruzione e capitalismo. Mikhail Gorbaciov, annichilito dalla scomparsa della moglie Raissa, si aggira disperato nella sua camera ardente. Ed infine George W. Bush, nello studio ovale, circondato da immagini terribili.
Questi personaggi interagiscono spostandosi da un luogo all’altro e scambiandosi foto di uomini con malformazioni. E’ una battaglia sulle responsabilità. Le parole degli attori si sovrappongono alle immagini degli schermi. Le lingue dei personaggi si mescolano in un uso originale degli accenti. Il pubblico si muove tra le scene seguendo l’uno o l’altro personaggio. Si divide e partecipa inconsapevolmente.
Questo lavoro unico di Greenaway registra il fallimento della rivoluzione russa, della fisica atomica, tenta di cercarne le responsabilità ma scopre soltanto scenari futuri apocalittici.

La casa orca, 2007
Giuseppe Acconcia

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