domenica 10 aprile 2011

Le violenze in piazza Tahrir

È finita nel sangue la più grande manifestazione del dopo Mubarak. Ieri mattina piazza Tahrir era un campo di battaglia. Fil di ferro e barricate hanno bloccato tutte le vie di accesso a partire dal ponte Qasr el Nil fino alle arterie principali del centro. Le strade erano colme di pietre e ciottoli per la sassaiola notturna. Giovani salivano sui rottami di una camionetta e di un minibus dell’esercito dati alle fiamme nella notte. Allo scoccare delle due, ora di inizio del coprifuoco notturno, è iniziata un’intensa sparatoria che è proseguita fino alle cinque di mattina. In tutto 3000 persone, giovani dei Fratelli musulmani, del movimento “6 aprile” e di gruppi di sinistra avevano deciso di rimanere in piazza. “Vogliamo le dimissioni di tutti i membri del Watani (Pnd) ancora in carica, compresi i governatori regionali e i rappresentanti delle province” – ha assicurato Khaled Telima dei giovani rivoluzionari. “Non andremo via finchè Mubarak e la sua famiglia non verranno processati”, ha aggiunto. Vari gruppi di attivisti si erano raccolti ai lati della strada, tra pali divelti, rottami delle auto in fumo e sporadiche tende in piedi al centro della piazza. Secondo il Ministero della Salute, gli scontri di ieri hanno causato 71 feriti. Tra i quindici colpiti da arma da fuoco, ci sarebbero almeno due morti.
Quali siano le responsabilità dell’esercito in questo attacco, è ancora presto dirlo. Di sicuro, all’alba di sabato, sono stati la polizia, la polizia militare e l’esercito a sgomberare la piazza con maganelli e taser. Anche il 26 febbraio era accaduto lo stesso. Allora l’esercito aveva presentato scuse formali ai manifestanti. Ma questa volta le conseguenze dell’attacco sono più gravi. Già i primi scontri si erano registrati la sera di venerdì. Alcuni ufficiali dell’esercito avevano raggiunto i manifestanti. Ma la polizia militare aveva tentato di fermarli. È iniziata così una sassaiola nella quale erano coinvolti anche alcuni proMubarak, tra cui uomini dello staff di Ibrahim Kamal. L’uomo del Watani è stato arrestato ieri mattina con l’accusa di “aver incitato i teppisti” che hanno attaccato i manifestanti. Giovani dei Fratelli musulmani, formando un cordone, avevano permesso ai militari di unirsi alle proteste. In un post su Facebook le forze armate hanno detto che “continueranno a lavorare per soddisfare le aspirazioni del popolo egiziano”. Ma molti attivisti non credono più all’attendismo e alle scuse continue dell’esercito. “Il consiglio militare è parte del regime corrotto. Ci guida chi ha beneficiato dei 30 anni di regime di Mubarak”, ha detto Abdullah Ahmed, che ha trascorso la notte in Piazza Tahrir.
“Se sei o sette membri del Pnd affrontano un processo civile, non è abbastanza” – ha ammesso Mohammed el Qassas, giovane dei Fratelli musulmani. Proprio la confraternita aveva chiamato i militanti venerdì ad una manifestazione di massa per un giro di vite all’interno del partito di Mubarak. La risposta dei manifestanti è stata sorprendente. Centinaia di migliaia di persone in festa avevano raggiunto Tahrir. Caroselli improvvisati inneggiavano alla rivoluzione del 25 gennaio. Musicisti, fumettisti e teatranti si raccoglievano nelle strade laterali. Sin dalla mattina gli elicotteri pattugliavano la zona, come nei giorni delle rivolte. I Fratelli musulmani avevano organizzato un servizio d’ordine in ingresso e in uscita. Nei pressi del Museo egizio erano posti i palchi dei militanti dei piccoli partiti di sinistra, nati dalle ceneri del Tagammu. Ai lati dell’Università americana si erano assembrati i giovani della coalizione dei rivoluzionari e di “6 aprile”, appena costituitisi in Ong. All’ingresso del Mogamma (centro amministrativo), erano sistemati in tende centinaia di salafiti, che si raccoglievano in preghiera. Alcuni leder dei Fratelli musulmani venivano portati in trionfo sulle spalle dalla folla, tra loro Safuat Aghazi. La gente sventolava bandiere di Yemen, Libia e  Siria. Mentre le forze speciali dell’esercito stazionavano all’ingresso dei palazzi che si affacciano sulla piazza. Un migliaio di manifestanti si era diretto verso l’ambasciata israeliana per protestare contro gli attacchi dell’esercito israeliano a Gaza. Il nuovo ministro degli esteri egiziano, Nabil al Arabi, si era espresso nei giorni scorsi per una revisione del Trattato di pace con Israele, facendo riferimento alla mancata demilitarizzazione del Sinai.
Nonostante le richieste di processare membri del partito nazionale vengano invocate ogni giorno, molti esponenti del Watani godono di un ampio seguito nelle province e nelle campagne egiziane. D’altraparte, l’esercito ha incassato l’approvazione della dichiarazione costituzionale e della road map verso le elezioni, apparendo finora così familiare da aver aperto macellerie ambulanti che vendono carne a metà prezzo nei quartieri più disagiati. Ma l’episodio di ieri chiarisce ancora una volta quanto l’esercito sia diviso al suo interno tra giovani militari, ufficiali e Consiglio delle forze armate. E così il ridimensionamento politico, e la repressione, dei movimenti rivoluzionari da parte dell’esercito serve ad unire i militari, avvicinando l’Egitto agli esempi di Italia e Francia del 1968. Mentre la relazione privilegiata tra Stati uniti, Consiglio delle Forze armate e il controllo dell’esercito sul potere politico sembra ormai avvicinare l’Egitto ad alcuni paesi dell’America latina.

Il Manifesto
10/04/2011
Giuseppe Acconcia


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