giovedì 17 marzo 2011

Mancano poche ore al referendum costituzionale


Il referendum di sabato ha acceso il dibattito politico in Egitto. Gli emendamenti alla vigente Costituzione prevedono la non rielegibilità del presidente dopo due mandati e nuove norme per le riforme costituzionali. Fratelli musulmani, Wasat e membri del Partito Nazionale Democratico si sono espressi per il “sì”. Mentre El Baradei, liberali e movimenti di sinistra sostengono la campagna per il “no”. Chi vuole una nuova Costituzione scenderà domani in piazza Tahrir. Anche la coalizione dei giovani rivoluzionari si presenta divisa all’appuntamento referendario di sabato, nonostante sia stata il principale interlocutore del Cosiglio superiore delle Forze Armate, ottenendo la nomina del governo ad interim di Sharaf e il rilascio di numerosi detenuti tra cui Tareq and Abbud al-Zomor, accusati di aver partecipato all’assassinio di Sadat. Le richieste dei giovani sono eterogenee: socialisti, comunisti, islamisti e liberali si sono uniti per segnare questa fase di transizione. Ho incontrato Khaled Telima, 27 anni, studente, uno dei portavoce della coalizione. “Voteremo “no” al referendum di sabato - assicura il giovane - Siamo per una nuova Costituzione. Nel colloquio con l’esercito abbiamo indicato Sharaf per la carica di primo ministro perchè era con noi durante la rivoluzione”. Khaled ha ancora negli occhi il bagno di folla che ha festeggiato il nuovo primo ministro: “dopo la sua nomina, abbiamo incontrato Sharaf a casa sua, chiedendogli di fare pulizia degli uomini del vecchio regime”. Nell’incontro con l’esercito, i giovani avevano presentato richieste politiche e sociali: “prima di tutto, abbiamo bisogno di tempo per formare nuovi partiti. Sei mesi non bastano perché ci siano le elezioni, solo gli ex del Pnd e dei Fratelli musulmani sarebbero pronti.” “E - continua Khaled - abbiamo assicurato all’esercito che, per fermare gli scioperi, è necessario prendere dei provvedimenti immediati. Bisogna formare una commissione economica per instituire un salario minimo, cancellare i debiti dei contadini e contrattualizzare i precari. Se queste cose il nuovo governo non le farà torneremo in piazza il 19 marzo.”
Ho incontrato Ramy Sabry dell’Unione per il progresso della gioventù, corrente interna al Tagammu, nella sede del partito di Via Talat Harb. “Stiamo preparando un partito di sinistra alternativo - dice Ramy, farmacista, in piazza ogni giorno dal 25 gennaio. “Il leader Sayed Refat ha avuto molti benefici dal regime di Mubarak, deve dimettersi”. Refat, presidente del partito comunista, viene accusato di non aver preso parte dal primo giorno alle manifestazioni e di aver accettato il dialogo con Suleiman. E sulle allenze del nuovo partito, Ramy è sicuro: “negli ultimi anni con i Fratelli musulmani abbiamo avuto posizioni comuni su alcuni temi. Se formano un partito secolare possiamo continuare a trovare un accordo. Il loro potere deriva dall’assenza di altri partiti. Se lo stato si sostituisce ai Fratelli musulmani nelle associazioni caritatevoli, come all’epoca di Nasser, altri partiti conquisteranno la forza che ora hanno loro”. Secondo Ramy, i temi su cui un nuovo partito di sinistra egiziano dovrebbe insistere sono la posizione dell’Egitto nel conflitto israelo-palestinese e il sostegno ai lavoratori: “Noi rifiutiamo il trattato di pace con Israele, ma sull’argomento sarebbe necessario promuovere un referendum. E poi, siamo vicini a chi sciopera, il governo avrebbe potuto garantire un salario minimo di 1200 lire egiziane e non l’ha fatto”. E sull’esercito, Ramy non ha dubbi: “non ha mai sparato contro la folla finora ma fa concessioni goccia a goccia.” L’Unione per il progresso è impegnata nei Comitati popolari per la difesa della Rivoluzione, gruppi formatisi spontaneamente in molti quartieri del Cairo: “teniamo riunioni per strada, animiamo dibattiti in cui vengono resi noti fatti di corruzione o le azioni delle baltagheia”. 
Altra componente essenziale della coalizione sono i Fratelli musulmani. Ho incontrato Mohammed El Qassas, giovane membro della confraternita, impegnato nell’ufficio politico del movimento e tra gli ideatori del partito Libertà e Giustizia, al sindacato dei medici in Via Qasr Al Aini. A detta di tutti, i Fratelli musulmani hanno avuto un ruolo fondamentale nei giorni della rivoluzione, al Cairo come ad Alessandria, per organizzare le proteste e controllare i manifestanti. Mohammed è stato per tre volte in prigione, anche fino a nove mesi per il suo attivismo nella confraternita. Porta in volto e sul corpo i segni delle pietre lanciate dai baltaghi nel giorno della battaglia dei cammelli. Voterà “sì” al referendum di sabato, come da direttive del movimento, ma ammette che tanti giovani della confraternita sostengono il “no”. “Nel colloquio con l’esercito ci siamo concentrati sulla sorte dei detenuti politici - ammette l’attivista - Hanno liberato alcuni tra i 61 affiliati al movimento ancora in prigione. Sto seguendo il caso di Husama Suleiman, costretto dalla polizia a rimanere in carcere nonostante la corte suprema lo abbia scagionato”. Anche lui ha raggiunto i manifestanti negli assalti alla sicurezza di stato lo scorso sabato: “ho visto carte tagliate e incendiate, email e account facebook tenuti sotto controllo, discorsi del murshid e di amici registrati. Alcuni file riguardavano sostenitori del regime da ricattare”. Sui temi oggetto di controversia Qassas ha un linguaggio davvero chiaro: “il trattato di pace con Israele per ora non è in discussione. Ma qualsiasi aggressione accelererà la strada verso una revisione. La nostra sfida è di creare una vera vita politica in questo paese. Sono per un partito secolare”. Le divisioni nella “coalizione dei giovani rivoluzionari” si manifesteranno con la formazione di partiti politici autonomi. Ma Libertà e Giustizia dei Fratelli musulmani resta la componente del movimento più influente. Nonostante il risultato del referendum appaia ancora incerto, il dibattito politico anticipa il duro e complesso scontro per la prossima campagna elettorale.


Giuseppe Acconcia

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