giovedì 24 febbraio 2011

Il Cairo è ancora in piazza

Le strade egiziane sono ancora in fermento. Alcune migliaia di cristiani copti si sono riuniti in piazza Tahrir per protestare contro il ferimento da parte dell’esercito di 6 monaci nel monastero dedicato a San Bishoy. Mentre prosegue il flusso di profughi egiziani provenienti dalla Libia attraverso il valico di Salloum. Infatti, Gheddafi ha accusato proprio gli egiziani e i tunisini residenti in Libia di fomentare le proteste. Le manifestazioni al ministero degli Interni di ieri hanno fatto due morti tra gli ex poliziotti. Secondo la stampa egiziana, ad aprire il fuoco contro i manifestanti, che hanno appiccato un incendio nei pressi del ministero, sono state le forze di sicurezza impegnate a difendere il palazzo. Inoltre, il rimpasto di governo voluto dalle gerarchie militari ha determinato le dimissioni tra gli altri dei ministri del petrolio e dell’industria. Molte strade del Cairo sono chiuse. I militari stazionano con i carriarmati bloccando la circolazione sulla Corniche nei pressi della tv di stato, attorno alla caserma di Abdin, al ministero degli interni, dei servizi sociali, alla banca centrale e al museo islamico. Vari posti di polizia risultano incendiati, in particolare nel quartiere di Sayeda Zeinab.
L’esercito continua a presentarsi con un volto estremamente popolare e fraterno verso la folla dei manifestanti. Questo potrebbe lentamente avvicinare l’Egitto al modello turco in un percorso verso la democratizzazione e l’inclusione dei movimenti islamisti. O degenerare verso il modello pakistano. In quel caso la giunta militare ha sfruttato i gruppi islamisti, generando non poca insicurezza interna. E continua la resa dei conti con gli ex sostenitori del presidente uscente. In molti quartieri la polizia è assente dalla fine di gennaio e le squadre di malvimenti e mercenari continuano ad aggirarsi per le strade. Varie sono le notizie di morti e sparatorie nel quartiere di Dar el Salam. Mentre proseguono gli scioperi: nei giorni scorsi sono stati fermi i mezzi pubblici e il Canale di Suez funziona solo in parte. Continuano gli scioperi delle industrie tessili e degli agricoltori. E come se non bastasse la Borsa è ancora chiusa e il turismo è fermo. E così la rivolta egiziana prende la forma sempre di più di un movimento per i salari più che per il pane.
E in questa “rivolta senza leader”, come è stata ribattezzata dai giornali egiziani. El Arian, portavoce dei Fratelli musulmani, ha annunciato di avere l’intenzione di formare un partito che si chiamerà Libertà e Giustizia. Altre correnti interne alla confraternita formerebbero tre diversi gruppi: Wasat, il Partito per un Egitto libero e il Partito delle Riforme. Mentre la confraternita insiste sulla necessità di una revisione del trattato di pace con Israele che “renderebbe l’Egitto più forte”. Sebbene gli apparteneti ai Fratelli musulmani si siano presentati divisi a questa ondata di proteste, potranno sfruttare ora l’ondata di islamizzazione dal basso diffusasi in Egitto a partire dal 2001 e in seguito alla politica americana in Medio Oriente durante la presidenza Bush jr, che ha determinato una diffusione senza precedenti del velo per le donne e un incremento dei partecipanti alle preghiere. In concomitanza ad un processo di islamizzazione dall’alto che ha portato alla costruzione di nuove moschee e alla cooptazione degli islamisti all’interno del regime. E quindi, più che una revisione dei trattati potranno essere ridiscusse le questioni dei campi profughi, dei rifugiati politici, del confine di Rafah e della militarizzazione del Sinai. Questo basta a mettere in subbuglio l’intera regione. Al confine tra Egitto e Israele ieri è stato ucciso un poliziotto egiziano. Non solo, lì sono dispiegati i carriarmati degli eserciti dei due Paesi e, nei giorni scorsi, hanno raggiunto il Mediterraneo, dirette verso le coste siriane, due navi militari iraniane.
D’altraparte, i componenti del governo Mubarak in carcere, l’ex ministro dell’Interno, dell’Agricoltura e del Welfare scaricano le loro responsabilità sull’ex presidente. In particolare, sembra sempre più grave la posizione del primo fra questi, Habib Adly, accusato anche di aver perpetrato l’attentato di Alessandria dello scorso 7 gennaio. E così ha destato scalpore una foto dei ministri in prigione, apparsa ieri sui principali quotidiani egiziani. Mentre il sistema giudiziario ha mosso gravi accuse a Gamal Mubarak in merito alla gestione delle imprese nazionalizzate e alle punizioni inferte a giornalisti indipendenti. In questo clima, prosegue il dibattito della gente comune sulle conseguenze politiche e sociali della rivolta, con in mente le immagini della Libia e la caduta dei regimi comunisti nel 1989.

Giuseppe Acconcia

1 commento:

  1. Ciao Giuseppe, sono contenta di ritrovarti in questo blog, ho seguito i tuoi collegamenti a radio2 e sono rimasta colpita dalla precisione e competenza con cui ha raccontato quello che stava succedendo.
    complimenti.
    maria

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